GLI ANNI DEL CRAXISMO NEL RICORDO DELL’ON. PAOLO PICCIONE

GLI ANNI DEL CRAXISMO NEL RICORDO DELL’ON. PAOLO PICCIONE

di Giuseppe Gullo

In occasione del venticinquesimo anniversario della morte di Bettino Craxi ho avuto l’opportunità di avere una conversazione con l’on. Paolo Piccione, classe 1932, socialista per tutta la vita, componente dell’Assemblea Nazionale del Psi craxiano, ex Presidente dell’ARS, il più antico Parlamento del mondo, Deputato regionale siciliano per 15 anni, memoria storica del riformismo democratico.

D. Abbiamo dovuto aspettare 25 anni dalla scomparsa in Tunisia di Bettino Craxi per leggere un comunicato ufficiale della Presidenza della Repubblica che riconosce i meriti politici del leader socialista e l’importanza della sua attività di Governo. Quali sono i sentimenti di un vecchio militante del PSI di fronte a questo evento?

R. Il primo sentimento è stato di commozione. La persecuzione della magistratura militante e politicizzata contro i partiti che avevano governato l’Italia nel secondo dopoguerra e contro i Socialisti in particolare è stata spietata. Sono state ignorate deliberatamente tutte le regole dello Stato di diritto, è stato usato il carcere per estorcere confessioni e chiamate di correo, sono state distrutte letteralmente persone e intere famiglie sull’altare di falsi miti e di una “Giustizia sanguinaria “. A chi blatera di operazione di pulizia chiederei soltanto se ha un’idea anche vaga di cosa significhi per chiunque, e maggiormente per chi ha ricoperto importanti incarichi pubblici, essere privato della libertà personale, sbattuto in prima pagina sui giornali e in televisione alla stregua di un mafioso, di un omicida o di uno stupratore, consapevole del calvario dei suoi familiari e degli amici. Chiederei se sanno che decine di interrogatori avevano il solo fine di estorcere una confessione per presunti reati mai commessi o una delazione che consentisse di aprire un nuovo fascicolo anch’esso fondato sul nulla. Ho subito 34 processi che si sono conclusi tutti con assoluzioni mai impugnate dalle procure che avevano chiesto e ottenuto la detenzione in carcere. Tutto questo mentre gli stessi artefici del genocidio di un’intera classe dirigente s’incontravano clandestinamente con i capi del partito beneficiario della carneficina per ottenere scranni parlamentari e/o incarichi prestigiosi. È una storia scritta solo in piccola parte, ma che il tempo si incaricherà di rendere pubblica. L’aria è cambiata ma sono stati necessari 25 anni. Oggi vengono pubblicati libri sulla figura e la politica di Craxi mentre Davigo viene condannato con sentenza definitiva per violazione di segreto d’ufficio ed è tecnicamente un pregiudicato, e sull’asse Palermo, Milano e Reggio Calabria emerge una trama al limite dell’eversione. Alcune previsioni che Craxi fece da Hammamet hanno la sostanza della profezia. Basta rileggerle per rendersene conto. L’amarezza è l’assoluto silenzio del PD e la constatazione che l’unica seria iniziativa per cercare di arginare lo strapotere delle procure venga dal Governo di destra.

D. Qual è il tuo ricordo degli anni della Segreteria Craxi e del Governo che il leader socialista ha presieduto?

R. La domanda che mi poni richiede una premessa. Ho vissuto personalmente quasi interamente la storia socialista dal secondo dopoguerra fino alla scomparsa del Partito per mano della magistratura sostenuta dal PCI e da una parte dei grandi imprenditori del nord che controllavano i mezzi d’informazione e, forse, da potenti servizi segreti stranieri. La storia del PSI è stata in larga parte caratterizzata della difesa delle classi deboli, degli emarginati e di chi lottava con tutte le forze per migliorare le proprie condizioni di vita. Facevamo questo in piena libertà e con uno spirito in qualche modo anarcoide che ci rendeva molto diversi dai comunisti, che invece non consentivano il dissenso e soffocavano il dibattito con ciò rinunciando al bene più grande: l’espressione libera del pensiero. A lungo, alcuni di noi hanno patito il confronto con l’organizzazione del PCI e con la loro apparente compattezza. Poi abbiamo capito che il prezzo che essi pagavano su quell’altare era troppo alto e per noi impossibile se non a costo di rinunciare alla nostra stessa essenza. La Storia ci ha dato ragione sebbene questo in Italia sembra non avere avuto importanza. Per molte ragioni, alcune delle quali ancora non del tutto chiarite, gli eredi politici di coloro che erano schierati a sostegno del modello di società, che è stato palesemente sconfitto dalle vicende del XX secolo e dell’attuale, sono diventati i rappresentanti dell’area progressista e democratica portandosi dietro tutta la zavorra della responsabilità di quanto hanno fatto e di quello che non hanno combattuto e rinnegato. Quest’anomalia pesa gravemente sulla politica italiana ed è sicuramente una concausa della condizione attuale che ha dato origine all’attuale Governo del nostro Paese. Mi riferisco alla realtà di una coalizione di destra che regge le sorti italiane nella quale un Partito dichiaratamente post-fascista, pur con annacquamenti e distinguo, è di gran lunga il più forte della coalizione ed esprime il Primo Ministro. Non è accaduto in nessuna grande Paese europeo e ci assegna un primato di cui non essere orgogliosi.

D. Capisco bene quello che sostieni. Qual è, a tuo avviso, la causa di tutto questo?

R. Le cause sono molte, alcune ascrivibili ad errori che sono stati commessi dai socialisti e che, col senno di poi, dobbiamo riconoscere. Le ragioni più profonde hanno radici diverse interne ed internazionali. Quando Craxi venne eletto Segretario del PSI nel 1976, ereditò un Partito in grave crisi, reduce da una sonora sconfitta nelle elezioni politiche dello stesso anno nelle quali alla Camera ebbe il 9,6% dei voti. C’era di più. Una parte consistente del gruppo dirigente era convinto che non vi era altra strada che quella di confluire nel PCI, che in quegli anni sembrava avere il vento in poppa ed essere l’unica vera alternativa alla DC e l’unico depositario dei valori e della tradizione della sinistra italiana. Craxi ebbe la capacità ed il coraggio di mettere subito in chiaro la diversità socialista, i valori di libertà, democrazia, pluralismo e autonomia di cui essa era portatrice. Restituì al popolo socialista l’orgoglio della militanza e dell’appartenenza senza complessi d’inferiorità ma con la consapevolezza di essere dalla parte giusta della storia. Il Partito riprese vigore e il piacere di fare politica. Anche coloro che al Midas non avevano appoggiato il nuovo leader compresero che la musica era cambiata e che il nuovo direttore non ripeteva spartiti logori e ormai obsoleti. Messina, come le altre province siciliane, accettò con entusiasmo il nuovo corso e fece la sua parte bene e con risultati visibili.

D. Quali furono dal punto di vista della politica le novità più importanti?

R. Nell’arco di qualche anno cambiò tutto. In politica estera Craxi creò un forte legame con tutti i leaders socialisti europei molti dei quali al Governo, lanciando l’idea del socialismo mediterraneo. Mitterand, Soares, Gonzales, Papandreu ebbero con il leader italiano un’interlocuzione costante e proficua. I rapporti con gli Usa furono sempre improntati ad amicizia e collaborazione ma mai a sudditanza. Craxi appoggiò l’installazione degli euromissili, osteggiata dal PCI, e fu convinto sostenitore dell’alleanza Nord Atlantica (NATO). Nello stesso tempo portò avanti una politica di apertura nei confronti del popolo palestinese e dell’organizzazione che lo rappresentava nel tentativo di favorire una pacifica convivenza nel territorio nel quale oggi si combatte e nel quale tutti speriamo che possa durare la tregua sottoscritta in questi giorni. Non ebbe tuttavia alcuna incertezza durante la crisi di Sigonella di difendere l’autonomia e la sovranità italiane a fronte di richieste inaccettabili provenienti dagli Usa.

In politica interna rafforzò il carattere libertario, profondamente democratico ed europeista del Psi contestando al PCI appiattito sulle posizioni filosovietiche la forte contraddizione del perseguire a parole una politica riformista senza recidere il legame con Mosca e senza fare i conti con la storica sconfitta del comunismo in tutto il pianeta. Avversò la politica del “compromesso storico” che altro non era se non il compromesso tra le due “chiese”, la cattolica e quella post-comunista che avrebbe ostacolato lo sviluppo democratico e liberale della società italiana. Lanciò oltre quarant’anni fa la proposta della grande riforma istituzionale prevedendo con largo anticipo rispetto a tutti gli altri leader la necessità di adeguare le Istituzioni ad una società in fortissimo e veloce cambiamento. Divenne il bersaglio dei comunisti e della sinistra DC, di fatto alleati, che usarono ogni mezzo, anche al di fuori della dialettica politica, per abbatterlo, senza riuscirvi. Usarono successivamente la magistratura che colpì violentemente e indiscriminatamente i partiti che avevano guidato il Paese dal secondo dopoguerra portandolo ad essere una grande realtà economica mondiale in piena libertà e in pace. Oggi assistiamo a tanti che versano lacrime di coccodrillo e a molti che rivalutano la figura e l’opera di Craxi la cui statura politica diventa con gli anni sempre più alta. Siamo solo all’inizio di un lungo periodo di revisione e indagine storica alla fine del quale, mi auguro, tutto sarà più chiaro.

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