ELEZIONI SENZA ELETTORI, BIPOLARISMO MALATO

ELEZIONI SENZA ELETTORI, BIPOLARISMO MALATO

di Giuseppe Gullo

La tornata elettorale che riguardava tre regioni, Liguria, Emilia-Romagna e Umbria, si è conclusa con il risultato di due Presidenti alla coalizione di sinistra ed uno alla destra. Del tutto normale anche il seguito di dichiarazioni proveniente da entrambi gli schieramenti, con qualche modesta coda polemica e l’apprezzabile dichiarazione della Presidente del Consiglio di disponibilità a collaborare con gli eletti senza alcuna distinzione relativa allo schieramento di provenienza.
Il dato preoccupante è il notevole calo dell’affluenza elettorale che ha raggiunto la percentuale altissima della perdita del 21% in Emilia con meno del 50% di votanti, ma ha avuto dappertutto dati rilevanti. La disaffezione al voto ormai è una costante in tutte le elezioni e deve essere affrontata sollecitamente se si intende rimediare, anche in parte, a una deriva pericolosa che rischia di minare le fondamenta stesse del sistema democratico. Il fenomeno della minoranza dei votanti che sceglie i governanti è patologico e deve essere “curato“. Le proposte in tal senso sono numerose e articolate, e vanno dalla necessità di modificare la legge elettorale per il Parlamento, restituendo al cittadino la possibilità di scegliere anche chi lo rappresenta, fino all’introduzione della votazione telematica come è già avvenuto per la sottoscrizione dei referendum. È giusto e utile osservare il fatto che il calo vertiginoso dell’affluenza nel voto regionale retto da una legge che prevede l’elezione diretta del Presidente-Governatore e la preferenza per i consiglieri, pone in una luce diversa il rapporto affluenza-legge elettorale, nel senso che la riforma del Rosatellum è assolutamente necessaria ma forse non più sufficiente per invertire una tendenza che sembra inarrestabile
La vittoria abbastanza netta della candidata di sinistra in Umbria contro la Presidente uscente è il risultato più significativo. L’Umbria aveva invertito una lunga tradizione di regione rossa durata dal 1970 al 2019, quando è stata eletta la candidata della destra militante della Lega. Nel 2019 la destra che era all’opposizione aveva battuto la sinistra che era al governo; oggi la sinistra, che sta all’opposizione, ha battuto la destra che sta al governo, riportando la regione alla collocazione che aveva avuto per quasi 50 anni. Si tratta di un sintomo di buon funzionamento del sistema che è in condizione di giudicare l’operato dell’amministrazione uscente senza considerare come determinante il rapporto con il Governo nazionale. L’opposizione ha vinto affidandosi a una giovane amministratrice indipendente, che ha evitato le passerelle dei capi partito e ha parlato di problemi concreti con competenza e serietà.
Questo deve fare riflettere insieme alle percentuali conseguite dai partiti della coalizione, che mostrano una spiccata tendenza all’accentuazione del bipolarismo. I due maggiori partiti delle contrapposte coalizioni rappresentano da soli quasi i due terzi dell’intero elettorato che ha scelto la rispettiva coalizione. Questo dato di fatto merita attenzione se indica una tendenza politica valida in ogni competizione elettorale. È vero che FI si conferma a destra secondo partito della coalizione, senza riuscire tuttavia a superare la soglia del 10%, mentre sul versante opposto Azione e la coalizione di riformisti oscilla tra il 2 e il 3%. Troppo poco per potere sopravvivere. Il bipolarismo serve all’Italia? Probabilmente è una manifestazione di impoverimento del dibattito politico e delle forme di rappresentanza parlamentare a livello centrale e locale. Prevalgono forme di protagonismo personali che il Paese ha conosciuto nella c.d. seconda Repubblica e che non hanno certo migliorato la qualità della politica, anzi. Tuttavia, occorre prendere atto della tendenza manifestata dagli elettori, anche per l’assoluta mancanza di una proposta politica centrista credibile.
Un discorso a parte merita il risultato dell’Emilia-Romagna dove la vittoria del candidato di sinistra è stata schiacciante e il PD ha avuto oltre il 42% dei consensi. La tradizione ha prevalso su tutto, alluvioni comprese. È questa l’unica regione nella quale i presidenti sono sempre stati espressione del PCI-PDS-Pd, con la breve parentesi di un socialista appoggiato da quel Partito. Sicuramente questo non è un caso, né un problema di DNA. È un esempio di scuola di buona amministrazione e di mancanza di alternative credibili.
In Liguria invece Bucci ha vinto, nonostante la fine traumatica e prematura dell’amministrazione Toti, per avere bene amministrato a Genova e per avere avuto come competitore un esponente della dirigenza nazionale del Pd al quale non è stata data sufficiente fiducia come Governatore. Forse, se fosse stato ripetuto il metodo Umbria ed Emilia Romagna nella scelta del candidato ligure, il risultato avrebbe potuto essere diverso.
FdI intanto incassa il successo europeo con la nomina di Fitto alla vice presidenza e soprattutto con l’ingresso di ECR, di cui fa parte il partito della Presidente del Consiglio, nella maggioranza che esprime la Commissione. E’ un risultato importante del quale occorre dare atto a Meloni, che ha operato con molta abilità evitando che l’Italia, paese fondatore dell’UE, venisse collocata in una posizione marginale e ininfluente. E ciò, mentre le preoccupazioni sul ruolo dell’Europa aumentano e il rapporto Draghi per un verso, e la lettera di Prodi e Monti per altro verso, ripropongono con urgenza la necessità del dibattito su quale sia l’Unione adeguata ad affrontare i grandi problemi dell’oggi.

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