LE ELEZIONI AMERICANE E I RIFLESSI EUROPEI

LE ELEZIONI AMERICANE E I RIFLESSI EUROPEI

di Giuseppe Gullo

Con l’eccezione di qualche burrasca di breve durata, causata da fattori atmosferici naturali e/o artificiali, l’estate che volge al termine è stata caratterizzata in modo prevalente dalle vicende legate alla fase preparatoria delle elezioni presidenziali di novembre in USA. Due avvenimenti in particolare hanno segnato drammaticamente le passate settimane, l’attentato a Trump e la rinuncia di Biden alla candidatura. L’episodio del proiettile che ha colpito il lobo dell’orecchio del candidato repubblicano, salvo per un puro caso, è stato talmente sconcertante nelle sue modalità da causare le dimissioni del capo dell’intelligence, palesemente incapace di assicurare la giusta sicurezza al candidato presidente. Nello stesso tempo è stato la spinta finale per il ritiro di Biden al quale era venuto meno l’appoggio dell’intero gruppo dirigente democratico e dei finanziatori della campagna elettorale.
È stata così spianata la strada all’investitura della vicepresidente rimasta fino a quel momento assolutamente in ombra e da molti giudicata inadeguata a ricoprire l’incarico presidenziale. La corsa alla presidenza che procedeva su un binario che sembrava avere un percorso già segnato e un approdo giudicato ineluttabile seppure sgradito, ha avuto una brusca sterzata e ha imboccato una strada nuova e in parte inesplorata. Il bruco Kamala è diventato farfalla con ali forti per volare verso mete fino a qualche settimana prima ritenute irraggiungibili, in grado di creare un vasto fronte di unità del mondo progressista americano e di mettere in moto nuove parole d’ordine con l’aiuto di gran parte dei media occidentali.
Tutto risolto? Nient’affatto, ovviamente. La vittoria dovrà essere conquistata con grande fatica in una realtà estremamente complessa e difficile da capire come quella degli USA, ove coesistono grandi eccellenze in molti settori ed enormi diseguaglianze e ingiustizie, dove il sogno americano è ancora concreto e aperto a tutti e nello stesso tempo aumentano le sacche di povertà, di emarginazione, di esclusione razziale e di arretratezza culturale. l’Occidente intero, a sua volta percorso da grandissimi problemi dovuti alle guerre in corso e a terremoti politici, vive con apprensione il breve periodo che manca alla scadenza elettorale, pienamente consapevole dell’importanza dell’esito del voto anche negli affari interni di ogni nazione e in particolare dell’Unione Europea.
In Francia è ancora aperto il problema della formazione del governo dopo le politiche anticipate volute da Macron. L’esito della crisi è incerto e sarà comunque contraddistinto da un difficile equilibrio istituzionale tra Presidente e Primo Ministro. La GB, dopo la vittoria dei Laburisti, sta attraversando un periodo di forti tensioni sociali con problemi rilevanti di ordine pubblico che il nuovo Governo stenta a contrastare. La Germania vive un periodo di recessione economica che sta appannando l’immagine dell’inarrestabile locomotiva d’Europa, in grado di superare ogni difficoltà. È l’Italia ad avere i minori problemi rispetto agli altri grandi Paesi occidentali, nonostante lo strappo di FdI che non ha votato la Von der Leyen ponendosi fuori dalla maggioranza che ha confermato la fiducia alla Presidente uscente.
Che peso ha l’elezione americana in un tale quadro politico-economico? Sicuramente di eccezionale rilievo per tutti e per noi in particolare. La vittoria della Harris e la conseguente ovvia continuità politica rispetto all’attuale amministrazione consentirebbero al nostro Paese di intensificare e migliorare i rapporti già in atto, anche in considerazione dello schieramento assunto dai principali partiti di Governo e di opposizione, con l’eccezione della Lega su un versante e dei 5S sull’altro. La Presidente del Consiglio, recentemente ospite in America del Presidente Biden, sicuramente intensificherebbe i rapporti con la prima presidente donna degli States anche per colmare le difficoltà nelle relazioni con l’UE. Scenario del tutto diverso sarebbe quello col quale fare i conti in caso di vittoria di Trump. Vi è chi sostiene che l’apparato amministrativo americano sia in condizione di mantenere ferme alcune direttive tradizionali, chiunque sia il Presidente. In realtà questo assunto si è dimostrato esatto solo in parte in occasione del mandato di Trump finito quattro anni fa. Il peso dell’establishment è rilevante ma le scelte del Presidente in un sistema fortemente verticistico sono decisive. Trump è ondivago e imprevedibile, fortemente influenzato dal populismo nazionalista che fa leva sulle pulsioni più retrive di una parte del popolo americano e potrebbe mettere in crisi istituzioni solo apparentemente salde e impermeabili a conati autoritari.
Sono sicuramente controproducenti, per il rilievo che possono avere nell’opinione pubblica americana, i distinguo che frequentemente fanno alcune forze politiche nostrane assumendo posizioni filo palestinesi o filo russe e così indebolendo un fronte internazionale che deve essere coeso nel sostegno agli alleati. Questo vale anche in campo economico, nel quale l’Italia è poca cosa rispetto ai colossi mondiali, Usa, Cina e India per primi, ma che è pur sempre la quinta potenza mondiale nel manifatturiero. Il liberismo sfrenato e senza regole, il mercato schiavo della legge del profitto a tutti i costi, le grandi multinazionali che determinano le scelte politiche oltre che quelle economiche possono portare, com’è avvenuto in alcune parti del pianeta, a soffocare le istituzioni della democrazia liberale e a subordinare alla ricchezza ogni cosa, anche la dignità e l’integrità delle persone. Il mantenimento e/o il miglioramento della nostra condizione privilegiata in una realtà mondiale in grande fermento e con macroscopiche disparità sono obiettivi per i quali occorre impegnarsi con coerenza e determinazione. La vittoria della candidata democratica s’identifica con quella dei valori liberaldemocratici che possono meglio garantire anche la giustizia sociale.

 

Fonte Foto: Flickr.comGage SkidmoreCC BY-SA 2.0

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