IL GOVERNO NASCE DAL CONSENSO, MA NON SI GOVERNA SENZA COMPETENZE

IL GOVERNO NASCE DAL CONSENSO, MA NON SI GOVERNA SENZA COMPETENZE

di Giuseppe Gullo

La Presidente del Consiglio sembra avere cambiato la posizione sulla riforma costituzionale con la quale la sua maggioranza intende introdurre il c.d. “premierato”. Al momento della presentazione del ddl la Meloni dichiaro che non avrebbe commesso l’errore fatto da Renzi e non avrebbe pertanto legato le sorti del Governo all ‘esito del referendum confermativo. Qualche giorno fa, invece, ha affermato che è sicura che l’elezione diretta del Primo Ministro ha il consenso della maggioranza degli italiani e che il risultato del referendum avrà influenza sulla stabilità del Governo. Ha successivamente cambiato idea affermando che il Governo andrà avanti qualunque sia l’esito del referendum. La Presidente sa bene che la forma del Governo è talmente importante da avere refluenze dirette e immediate sull’esecutivo, e che non basta dire che il Governo continuerà sulla sua strada anche in caso di bocciatura della riforma da parte degli elettori per evitare la crisi. Allo stesso tempo ha ben presente che la procedura di riforma costituzionale è talmente complessa per cui è impensabile che possa concludersi prima del 2026 e cioè quando i due terzi circa della legislatura saranno passati.
Nel frattempo il dibattito sul premierato si arricchisce di importanti contributi che meritano attenzione e approfondimento. Il primo rilievo che viene avanzato in modo pressoché unanime è quello relativo alla mancanza di una proposta di legge elettorale che disciplini l’elezione del Parlamento. Non è affatto un elemento marginale che può essere rinviato ad un momento successivo all’eventuale approvazione della riforma costituzionale. Al contrario dovrebbe essere un punto qualificante del ddl che introduce l’elezione diretta del Primo Ministro con ampi poteri, la cui definizione è in itinere ma certamente tale da prefigurare l’introduzione nel nostro ordinamento costituzionale di una figura di vertice mai esistita in precedenza. È evidente che a fronte di una simile novità il meccanismo di elezione del Parlamento diventa ancora più importante nel senso che la previsione di una soglia relativamente bassa per conseguire il premio di maggioranza e/o di una alta per partecipare alla suddivisione dei seggi costituirebbe un ingiustificato e pericoloso rafforzamento della tendenza alla c.d. democrazia verticale che è uno dei pericoli maggiori del Premierato. È questa una delle ragioni che impone a chi intende introdurre la figura del Presidente del Consiglio eletto dal popolo di pronunciarsi subito sul sistema elettorale del Parlamento e non rinviare questa scelta ad un momento successivo. A maggior ragione in considerazione del fatto che la legge elettorale segue il procedimento ordinario ed è quindi di minore complessità procedurale. I referendum abrogativi del Rosatellum promossi dal Comitato Referendario per la Rappresentanza ( https://www.iovoglioscegliere.it/) puntano proprio a fare cessare il grave vulnus alla Democrazia che l’ attuale legge elettorale ha consentito, espropriando l’elettore della facoltà di scegliere gli eletti e penalizzando le formazioni minori con l’obbligo della raccolta delle firme e con la tagliola della soglia di sbarramento per accedere alla distribuzione dei seggi di Camera e Senato.
Il prof. De Rita si chiede molto opportunamente se la soluzione dei problemi di una realtà complessa come quella italiana sia l’introduzione della figura di “un/una uomo/donna solo/a al comando” o se, invece, siano altre e diverse le strade da seguire per migliorare la governabilità del Paese. La storia politica dell’Italia repubblicana è segnata da un lungo periodo durato fino all’inizio del XXI secolo, nel quale il ceto politico di Governo è stato affiancato   in posizioni di grandi responsabilità decisionali da una oligarchia di grandi commis di Stato che hanno indirizzato e pilotato le scelte più importanti operate in sede istituzionale. Il Presidente del Censis cita la missione americana del 1945 di Cuccia, Mattioli, Morelli e Quintieri che spianò la strada alla scelta “americana” del nostro Paese attraverso una serie di incontri con lo staff del Presidente Roosevelt, di cui da’ conto l’ambasciatore Ortona nelle sue memorie, mentre parallelamente e autonomamente il futuro Paolo VI ricuciva e rinsaldava i rapporti tra Usa e Vaticano. Altri protagonisti della cerchia oligarchica  offrirono alle Istituzioni americane le garanzie di affidabilità delle scelte italiane che erano state fatte in sede politica. Questo per significare che le decisioni fondamentali sono politiche ma camminano sulle gambe di chi sa orientarle e interpretarle nel modo migliore.
Questo sistema è andato avanti fino ai Governi Prodi e Berlusconi, il primo egli stesso oligarca e il secondo orientato da Gianni Letta, anch’egli facente parte della ristretta cerchia dei “servitori ” dello Stato e dei suoi esponenti politici di primo piano. In verità in questo quadro sicuramente esatto, il Governo Craxi fu un primo tentativo, non portato a conclusione, di allargare il gruppo oligarchico di comando attraverso il ruolo ricoperto da Giuliano Amato, ancora oggi, in altri ruoli, protagonista ai massimi livelli della vita pubblica del Paese. Il populismo grillino ha modificato in peggio la situazione sostituendo persone competenti e con le giuste conoscenze con politici inventati e per lo più impreparati, i quali hanno aggravato le scelte scellerate di una classe politica inadeguata. Gli effetti negativi di questo fenomeno sono evidenti come il processo di ridimensionamento che è in atto per fortuna e che l’esito elettorale del 9 giugno potrebbe confermare in modo clamoroso.
La conclusione del famoso sociologo è che sarebbe necessario un ceto politico all’altezza del compito di governare con saggezza e competenza, del quale non si vede la presenza neppure lontana.
Allora? La questione torna alla sua formulazione originaria. In Democrazia non è possibile invocare il Governo dei migliori. Governa chi ha la maggioranza dei voti ed è in condizione di stringere le sufficienti alleanze per esprimere una maggioranza che corrisponda a quella degli elettori. Cosa è possibile fare per migliorare il livello della classe dirigente? Il primo punto è nel novero delle cose fattibili a costo zero: sia l’elettore a scegliere chi lo dovrà rappresentare in Parlamento e non il capo del Partito, il quale inserirà Tizio o Caio in base a criteri diversi dal merito e dalla competenza. Abbiamo in mano lo strumento per farlo. Sta a ciascuno di noi utilizzarlo. Il secondo elemento è quello che De Rita adombra senza indicarlo chiaramente: I migliori non hanno il consenso per governare ma sono indispensabili a chi ha ottenuto questo mandato. Gli oligarchi sono lo strumento tecnico attraverso il quale la classe politica ha la possibilità di realizzare gli obiettivi che ha indicato nei programmi elettorali. L’attuale Governo, pur non raggiungendo le assurde vette degli esecutivi a guida 5S, con qualche eccezione, utilizza in settori strategici persone di limitata competenza e capacità. In tal modo fa male a sé stesso, il che non è un dramma, ma soprattutto arranca su questioni di grandissimo rilievo. Le scelte nei grandi enti nei quali lo Stato indica gli amministratori devono comprendere le migliori professionalità di cui il Paese dispone, senza esami del sangue e giuramenti di fedeltà. De Rita è un oligarca e la sua difesa del loro ruolo nella vita pubblica ha in questo senso un limite. Ma afferma una verità: Cuccia, Mattioli, Carli, Maccanico, Ortona ed altri venivano chiamati a grandi responsabilità perché avevano le qualità e le competenze per risolvere le questioni, restando sempre una fila indietro ma preparando dossier inattaccabili e completi. Chi vuole intendere, intenda!

 

Fonte Foto: Flickr.comTony BlayCC BY-NC-ND 2.0 Deed

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