CI PIANGIAMO ADDOSSO, MENTRE STIAMO MEGLIO DI MOLTI ALTRI
di Giuseppe Gullo
Per ragioni che molti storici e sociologi riconducono al processo di formazione dell’unità d’Italia, il popolo del Belpaese non ha grande considerazione delle proprie qualità e delle competenze che riesce ad esprimere nella realtà sociale ed economica. A fronte della grandeur dei francesi, del forte sentimento di legame col passato nobile e glorioso dell’armata invincibile di Filippo II di Spagna, dei fasti coloniali dell’impero britannico, del mito della disciplina e del senso del dovere teutonici e delle grandi opportunità per chi ha talento nel nuovo mondo, noi, eredi insieme ai greci della più grande civiltà del mondo antico dalla quale proviene l’intera cultura occidentale, siamo maestri nel piangerci addosso, nel vedere le ombre lunghe di un declino inarrestabile, nel fustigarci come superficiali, pressapochisti, profittatori, inaffidabili e via dicendo per concludere che la via è segnata e porta dritta al baratro.
Nel mentre l’intellighenzia disquisisce sul tasso di illiberalità del nostro sistema e paventa improbabili ritorni di “fiamma” di esperienze autoritarie alle quali nessuno pensa, viene pubblicata la relazione annuale del WTO che dà conto dell’andamento delle esportazioni mondiali nel 2023. Ebbene da questo documento della massima autorità in tema di export risulta che l’Italia è quinta al mondo dopo Cina, USA, Germania e Giappone. Non solo. Se si considera il dato del Giappone senza la voce auto che incide a suo favore per il 15% a fronte di un 3% globale, l’Italia sarebbe al quarto posto dopo colossi come quelli indicati, che dispongono di una forza lavoro e di materie prime di gran lunga superiori alle nostre. Un piccolo Paese di meno di 60 milioni di abitanti, dipendente dall’estero in percentuale spaventosa per energia e materie prime, con una popolazione in decrescita e anziana, ha un export vicino ai 700 miliardi di dollari con un saldo attivo di circa 300. Le sorprese non finiscono qua. La nostra produttività è superiore, udite, udite! rispetto a quella tedesca, e dal 2015 a oggi l’export azzurro è aumentato del 48 % più di quello di chiunque altro. Significativo lo studio dei settori trainanti con in testa il Food and Wine, a conferma di una vocazione che se solo venisse supportata da incentivi mirati all’agricoltura potrebbe rappresentare da sola una carta vincente non duplicabile da altri paesi per evidenti ragioni climatiche e ambientali.
Il fatto è che il tessuto produttivo nostrano è sano, competitivo, creativo e innovativo. Nonostante tutto è il caso di aggiungere. Ciò nonostante, il 110 per cento che ha bruciato alcune centinaia di miliardi e che adesso non ha più padre, misconosciuto da chi lo ha voluto con pervicacia e incompetenza. Malgrado il sistema fiscale fortemente vessatorio con aliquote molto elevate e il sistema giustizia, civile soprattutto, lento e farraginoso. Vanno invece riconsiderati i giudizi negativi, forse pronunciati troppo impulsivamente su welfare, sanità, politiche industriali e normativa in materia di lavoro (jobs act ), ora sotto minaccia referendaria da parte della CGIL, che debbono essere migliorati ma che hanno dato finora risposte accettabili alla collettività.
I dati del WTO inducono inoltre a considerare diversamente il problema del debito pubblico. È un caso che tre dei cinque paesi leaders delle esportazioni, USA, Giappone e Italia, abbiano un elevato debito pubblico? Quello del Giappone addirittura doppio rispetto al nostro. No, il debito se serve a finanziare correttamente e produttivamente i servizi pubblici, le infrastrutture e migliorare le condizioni di svolgimento delle attività produttive, in presenza di dati macroeconomici positivi, è utile e può fare crescere positivamente la ricchezza prodotta. Impariamo tutti ad avere un maggiore orgoglio nazionale e a prendere consapevolezza che siamo nella élite economica mondiale per le nostre capacità . Nessuno fa regali meno che mai nel mondo degli affari.
Fonte Foto: Pixhere.com – CC0 1.0 Deed