GOVERNO MELONI, UNA SORTA DI GIANO BIFRONTE
di Giuseppe Gullo
Il Governo di destra, in carica da circa un anno e mezzo, ricorda per molti versi la mitica figura di Giano bifronte. Egli era in condizione di guardare il passato e il futuro ma non di vedere il presente. Allo stesso modo l’esecutivo guidato dalla Presidente Meloni guarda al passato per rintuzzare le critiche che vengono dalle opposizioni evidenziando le manchevolezze dei Governi che lo hanno preceduto e affronta in modo politicamente significativo alcune questioni di prospettiva, mentre fa disastri a ripetizione sulle principali questioni in agenda. Assistiamo così ad un susseguirsi di provvedimenti contraddittori e spesso pasticciati che, ove mai diventassero leggi dello Stato, aggraverebbero di molto la situazione esistente.
La c. d. autonomia differenziata, bandiera identitaria della Lega, darebbe un colpo mortale all’unità dello Stato sancendone la frantumazione e la disomogeneità. È innegabile che proprio la riforma del titolo V della Costituzione, voluta dal PD, aveva spianato la strada che il Ddl Calderoli cerca di percorrere affondando il colpo su un corpo istituzionale già sofferente. La riforma costituzionale, ancora in fase di rielaborazione, che intende introdurre il premierato, è talmente confusa nel tentativo di conciliare l’inconciliabile che perfino esponenti della maggioranza ne richiedono la modifica. Mantenere l’equilibrio tra i poteri dello Stato, introducendo la figura del Presidente del Consiglio eletto dal popolo è impresa improba che la proposta Casellati non è in condizione di affrontare e superare. Gli aggiustamenti discussi in questi giorni relativi al limite dei due mandati, alla nomina e revoca dei Ministri, alla sostituzione del Premier in caso di dimissioni o impedimento, non affrontano il nodo principale che è quello dell’introduzione di una figura eletta direttamente dal popolo la cui legittimazione sarebbe obiettivamente preminente rispetto a tutte le altre, non solo al Presidente della Repubblica come tanti dicono, ma soprattutto rispetto al ruolo del Parlamento, cosa di cui nessuno parla. Sono altre le strade da battere se s’intende rafforzare la figura del Premier senza creare disastri. Una, e non la sola, la indica il Prof Manzella proponendo una fiducia separata al Primo Ministro data dalle Camere in seduta comune, riportando la gestione della legittimazione dell’Esecutivo e del suo capo all’interno del Parlamento e non fuori di esso.
La riforma fiscale non decolla e non riuscirà a diminuire di un solo decimale la pressione sui contribuenti, mentre il principio di progressività dell’imposta viene ignorato o aggirato. Il fronte caldissimo della Giustizia si sta giocando sul piano verbale con promesse e minacce che le parti si scambiano in un gioco che sembra non avere fine. Sul piano sostanziale, quello dei provvedimenti, poco o nulla è stato fatto, mentre i Procuratori Generali nelle relazioni di apertura dell’anno giudiziario hanno lamentato carenze d’organico e di investimenti, talvolta puramente fantasiosi. Il settore giudiziario ha avuto negli ultimi due anni l’assunzione di un notevole numero di addetti e il numero dei magistrati in servizio nel nostro Paese è il più alto d’Europa. Gli unici provvedimenti definitivi hanno riguardato le norme anti-rave e l’aumento delle pene per i reati contro le donne, che purtroppo non riusciranno a invertire questa terribile spirale, come dimostrano i fatti accaduti in questi giorni in varie parti della penisola.
In politica estera invece, la Presidente sta inanellando alcuni risultati positivi che fanno ben sperare per le prospettive di medio periodo. In Europa ha mantenuto coerentemente il punto sulla posizione pro-Ucraina giocando un ruolo rilevante nell’azione di persuasione del leader ungherese Orban a dare l’assenso alle somme destinate a sostenere il Paese aggredito. Ha instaurato un solido rapporto con Von der Leyen, che ritiene la Presidente italiana un’interlocutrice affidabile. Ne è stata dimostrazione la sua presenza a Roma in occasione della conferenza con i Paesi africani organizzata dal nostro Governo. Pur con qualche assenza di rilievo, l’iniziativa ha visto una presenza significativa di molti stati del continente africano e soprattutto è servita a diffondere l’immagine dell’Italia come importante riferimento anche al di fuori dei paesi nei quali la presenza italiana è tradizionale. I dati di crescita demografica dell’Africa, confrontati con quelli di decrescita dei paesi europei e dell’Italia in particolare, sottolineano ancora di più l’importanza della conferenza. Se aggiungiamo a questo la massiccia presenza cinese e quella russa in Africa, oltre ai rapporti storici di Francia e Inghilterra, ecco che il quadro diventa più chiaro e la prospettiva seria.
Lo stesso problema dell’immigrazione sul quale i nostri alleati europei predicano bene e razzolano male, potrà avere un serio contributo alla sua soluzione da una maggiore influenza italiana politica ed economica con molti stati africani. È un ottimo investimento, in una prospettiva di medio termine, al quale è giusto dare un adeguato riconoscimento. Fatta salva l’ipotesi di una candidatura Draghi alla Presidenza della Commissione, che l’Italia dovrebbe certamente appoggiare, la ventilata possibilità di un sostegno del governo italiano alla conferma di Von der Leyen deve essere giudicata positivamente, specie se dovesse corrispondere a un maggiore coinvolgimento del nostro Paese nelle più rilevanti decisioni che saranno prese a Bruxelles anche in considerazione dell’oggettivo ridimensionamento del peso della Germania, che sta vivendo un periodo di difficoltà economiche conseguenti al mutato quadro internazionale e all’embargo verso la Russia. L’asse Parigi-Berlino scricchiola e probabilmente non tornerà ad avere lo stesso peso che ha avuto in passato anche per la crescita di altre realtà come quella spagnola che segna la maggiore crescita del Pil nell’intero Continente.
Ecco che Giano bifronte dimostra tutta la sua miopia. Il Paese, ripresosi alla grande dalla crisi post pandemica, continua a dimostrare una capacità e una vitalità che pochi probabilmente gli riconoscevano. L’economia continua a crescere sebbene lentamente, l’occupazione è ai livelli massimi degli ultimi 15/20 anni, l’inflazione è sotto controllo ed è stata evitata la recessione che ha colpito il colosso tedesco. Ci sarebbe necessità di procedere nel senso di accorciare le differenze e non aumentarle. Altro che autonomia differenziata! L’intervento al sud dovrebbe essere incentrato sulla creazione di nuovo lavoro utilizzando, ad esempio, una legislazione premiale col significativo abbattimento degli oneri a carico di chi assume e con un serio piano di rilancio dell’agricoltura utilizzando anche la forza lavoro che viene dai Paesi extra europei. La Spagna, che ha condizioni climatiche simili al nostro meridione, è un esempio da seguire se è riuscita perfino a conquistare mercati in alcune zone nelle quali storicamente sono stati prodotti fino a 60 anni fa i migliori agrumi del mondo. Forti incentivi statali, erogabili alle stesse condizioni e con le stesse modalità di quelli europei, accanto a contributi per l’innovazione tecnologica e la trasformazione digitale possono far rivivere antiche ricchezze, ripopolare le Regioni meridionali, trattenere giovani che vedono una possibilità concreta di lavoro e di guadagno e migliorare la bilancia dei pagamenti e la qualità della vita.
Coloro che a Palermo, Napoli , Catania e Reggio Calabria comprano al supermercato limoni provenienti dall’Argentina o arance dalla Spagna e tarocchi da Israele o olio di oliva del nord Africa, se si fermassero a riflettere non potrebbero fare altro che tornare sui loro passi e rimettere quei prodotti negli scaffali dove li avevano presi, con le guance rosse come quelle di chi ha ricevuto due sonori ceffoni.
Fonte foto: Wikimedia Commons – Sailko – CC BY-SA 3.0 Deed