LA POLITICA ITALIANA VISTA DA GIULIANO FERRARA

LA POLITICA ITALIANA VISTA DA GIULIANO FERRARA

di Giuseppe Gullo

Giuliano Ferrara ha qualcosa in più rispetto al Gotha dei migliori editorialisti italiani di cui fa parte. Conosce la politica dall’interno essendo stato eurodeputato eletto nelle liste del Psi craxiano e Ministro delle Riforme istituzionali per pochi mesi nel primo Governo Berlusconi. A questo occorre aggiungere, elemento non marginale, che fa parte di una famiglia vissuta nell’Olimpo del PCI di cui Giuliano, giovane rampollo, è stato dirigente per anni. Ha partecipato direttamente a fasi molto importanti della vita pubblica italiana come protagonista e non solo come acuto osservatore. Ciò comporta che le sue analisi sulle vicende che riguardano governo e opposizione hanno un taglio diverso e originale.
Così è anche nel caso delle polemiche conseguenti alla conferenza stampa della Presidente del Consiglio, soprattutto per la parte relativa alla ricattabilità della premier e del “pericolo” di complotti contro il Governo. Cosa significa che un esponente di lungo corso della politica che ha ricoperto incarichi ministeriali prima di diventare Capo del Governo, non è ricattabile? È estranea all’ambiente e agli interessi che si muovono intorno alla gestione dello Stato? Sicuramente no. Non per scelta, bensì per necessità. La partecipazione diretta ad alte responsabilità politiche comporta inevitabilmente l’ingresso in uno status che prevede il personale coinvolgimento nelle scelte che quotidianamente vengono fatte. Ovviamente questo può avvenire in mille modi e certamente la Presidente l‘ha fatto con molta cautela e prudenza senza superare i limiti della consentita discrezionalità. Avrà tuttavia scelto o contribuito a scegliere Tizio piuttosto che Caio per posti di potere, avrà preso impegni, dato e ricevuto garanzie. È a questo punto che scatta il meccanismo dell’affidabilità di cui parla l’ex ministro e giornalista. Se sei ritenuto affidabile è perché mantieni gli impegni assunti e non giochi la partita da solo. Altrimenti può accadere quello che Ferrara riferisce a due ex Presidenti del Consiglio, Craxi e Renzi, molto diversi in tutto, ma entrambi in qualche modo anomali nel panorama politico del Belpaese. Cos’è accaduto secondo l’ex conduttore di Radio Londra?
Craxi che era diventato protagonista della scena politica italiana dopo avere portato il PSI esangue della gestione De Martino ad avere nuovo vigore anche elettorale, e che non faceva passare giorno senza mettere in evidenza le molte e stridenti contraddizioni del PCI, rivendicava con grande determinazione la guida del Governo per dare al Paese il primo Governo a guida laica del dopoguerra posto che quello di Spadolini era stato un intervallo tra gli Esecutivi a guida DC piuttosto che il primo laico. L’accordo fu fatto con De Mita, Segretario DC, e prevedeva che Craxi guidasse il Governo per i primi due anni e mezzo della IX Legislatura e che fosse poi sostituito, con la stessa maggioranza, da De Mita. Come sappiamo le cose andarono diversamente, nel senso che alla scadenza di metà legislatura il leader socialista volle andare avanti. Divenne in quel momento inaffidabile e causò la reazione politicamente violenta del Partito di maggioranza relativa che creò una crisi conclusasi con elezioni anticipate. Rimase tuttavia la ruggine che, secondo Ferrara, fu determinante per il futuro del leader socialista.  “Quello sgarro alla fine Craxi pagò con la condizione di paria, non il riarmo dei Carabinieri a Sigonella”. Scritto da un personaggio di alto lignaggio, quest’episodio getta una nuova luce su molte vicende che si verificarono negli anni successivi e che hanno segnato la Storia della Repubblica. Potrebbe essere solo un’interpretazione personale ma è difficile credere che fatti di questa importanza vengano riferiti in modo distorto.
Ferrara porta un secondo esempio più recente che vide protagonista Renzi all’apice della sua ascesa quando decise di mandare a casa Letta e prendere in mano la guida del Governo. Riferisce che l’ex Primo Ministro, insediatosi a Palazzo Chigi, venne giudicato inaffidabile in quanto non rispondeva prontamente e non richiamava i Direttori del Corriere e di Repubblica che l‘avevano cercato. Questo atteggiamento gli avrebbe messo contro i “poteri forti” che contribuirono non poco alle sue sventure politiche, propiziate per altro dalla scelta autolesionista di legare le sorti del suo Governo all’esito del referendum costituzionale.
Alcune considerazioni sono conseguenti ai ragionamenti che stiamo sviluppando. Non si Governa contro l’establishment, che non è un’entità astratta quanto piuttosto la sovrastruttura sedimentata in molti anni, e che è in grado di controllare il funzionamento della macchina amministrativa ed è alleata dei centri nevralgici che gestiscono l’informazione, la finanza, i servizi, i rapporti internazionali e la Magistratura.
Tuttavia, rispetto a questo, Meloni rappresenta una novità. La Presidente ha assunto nei confronti di questo vario e articolato apparato un atteggiamento fortemente ispirato dalla sua esperienza politica, dal suo intuito e da qualità che certamente possiede. Avverte però una certa diffidenza nei confronti di esso e sente che il sospetto è ricambiato per cui sta in guardia e forse vede ombre anche laddove non vi sono. Quando la Presidente parla di forze che remano contro il Governo si riferisce proprio a questo. Non è una novità assoluta.  Oltre ai casi sopra riferiti di Craxi e Renzi possono essere aggiunti quelli di Prodi, caduto per mano della Magistratura che, secondo la versione di Palamara, intese vendicare l’”offesa” fatta all’ex Sindaco di Napoli De Magistris, membro di quella casta, e quello di Berlusconi che era anche lui un “potere forte” ma assolutamente inviso ai magistrati ai quali, per la verità, offrì molti sostanziosi argomenti con comportamenti in qualche caso veramente al limite dell’incredibile, come ad esempio la vicenda Ruby-Mubarak, per citarne una tra molte.
Meloni avverte a pelle il rischio di essere impallinata (il riferimento al caso Pozzolo non è casuale) anche per la verificata inadeguatezza di molti esponenti del suo Governo, dalla mano vindice ed eteroguidata di un nuovo Bruto alla ricerca di strade che possano modificare surrettiziamente i risultati elettorali. La strada non è questa, deve essere politica. Le polemiche su questioni abbastanza marginali o che riguardano singoli personaggi dei quali fino a ieri s’ignorava perfino l’esistenza o che rivendicano merito e competenza, sempre ignorate, sono sterili e durano lo spazio di pochi giorni o addirittura prestano il fianco a chi conosce le regole del gioco (la Presidente) di ribattere fondatamente: perché non lo hai fatto negli anni precedenti quando eri tu a dare le carte? Quasi sempre segue un silenzio imbarazzato.

 

Fonte foto: Wikimedia CommonsIndeciso42CC BY-SA 4.0 Deed

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