Il Talk-Show*
di Guido Di Massimo
Dopo aver tanto sperato e aspettato, erano stati finalmente invitati in televisione per un “talk-show”. Il canale era il più importante di tutti e loro dovevano eccellere. Lo dovevano vedere tutti quanto erano intelligenti e capaci e quanto superiori agli avversari.
Si prepararono come si conviene: si fecero la doccia e si lavarono i capelli, ripassarono slogan e dichiarazioni, controllarono di saper bene a memoria le risposte multiuso buone in ogni occasione, fecero un’ora di gargarismi per avere una voce bella e forte, si misero negli orecchi i tappi necessari per non ascoltare le sciocchezze che avrebbero detto gli altri, si fecero truccare e prima del talk-show si incontrarono separatamente con il conduttore dello spettacolo. Ognuno chiedeva la massima visibilità possibile indicando quale era la sua migliore inquadratura, se di fronte o di profilo o di tre quarti, inquadratura che doveva valere nei primi piani; e il conduttore chiese loro di essere gagliardi, decisi e combattivi: mai farsi vedere “mosci”, concilianti o remissivi: ne andava di mezzo la loro immagine ma ci andava di mezzo anche lo spettacolo. Se lo spettacolo non avesse avuto la necessaria vivacità e un buon ascolto lui non avrebbe potuto fare altri spettacoli del genere, non avrebbe più potuto chiamarli e sarebbe stato un danno per loro, per il conduttore e anche per il canale tv.
Discussero un po’ sulla claque: ogni invitato voleva portarsi la sua, ma su questo il conduttore fu irremovibile: agli applausi ci avrebbe pensato lui. Era attrezzato con schermi nascosti dove sarebbero comparsi gli ordini “applaudire tutti”, “applaudire da sinistra”, “applaudire da destra”, “basta applaudire”, “silenzio”, “fare buu”. Qualche discussione ci fu sulla durata degli applausi: ognuno avrebbe ben pagato per ogni minuto di applauso in più degli altri. Ma nemmeno su questo si misero d’accordo. Queste operazioni, peraltro delicatissime, le avrebbe condotte il conduttore altrimenti il nome di conduttore sarebbe stato del tutto ingiustificato. In ogni modo un certo numero di minuti di applausi era garantito a tutti.
E andarono nello studio televisivo.
Il conduttore fece qualche domanda per rompere il ghiaccio e subito gli intervenuti intervennero. Per via degli orecchi tappati nessuno sentiva quello che dicevano gli altri, ma non era importante; era importante quello che dicevano loro. Non sentendosi e non capendosi alzavano tutti la voce fino ad urlare. Quando gli urli erano forti e sovrapposti il conduttore, felice e raggiante, con un cenno faceva illuminare gli schermi che ordinavano gli applausi che per sicurezza erano rinforzati da applausi preregistrati.
Il massimo dello spettacolo e degli ascolti veniva raggiunto al momento degli insulti reciproci. Ma il massimo dei massimi capitò quando l’amplificatore degli applausi preregistrati si ruppe e gli intervenuti, giudicando non sufficienti e non ben distribuiti quelli del pubblico cominciarono a insultare il conduttore il quale reagì insultando a sua volta.
L’ascolto salì alle stelle, il conduttore fu premiato e quella trasmissione rimase per sempre esemplare: fu studiata e analizzata per trarre da essa il massimo insegnamento di come condurre una trasmissione televisiva dibattendo ed avendo il massimo dell’ascolto. Ancora oggi quella trasmissione è utilizzata per iniziare i conduttori televisivi al loro delicatissimo mestiere. I risultati sono sotto i nostri occhi.
*tratto dall’ultima opera di Guido Di Massimo, “Il cane col papillon” (edizioni Robin), per gentile concessione dell’Autore