LE DICHIARAZIONI DELL’EX PM DI PIETRO ALLA COMMISSIONE ANTIMAFIA

LE DICHIARAZIONI DELL’EX PM DI PIETRO ALLA COMMISSIONE ANTIMAFIA

di Giuseppe Gullo

La commissione parlamentare antimafia venne istituita sul finire della III Legislatura con legge del 20 dicembre 1962 n. 1720 e s’insediò il 14 febbraio 1963 con la presidenza del deputato socialdemocratico Paolo Rossi. A quell’epoca Presidente della Repubblica era Antonio Segni, Amintore Fanfani presiedeva il suo quarto Governo, formato dalla DC, dal PSDI e dal PRI, con l’appoggio esterno del PSI, mentre l’economia si preparava a vivere il periodo più importante del suo sviluppo economico che avrebbe trasformato la Penisola in una grande potenza industriale cambiando completamente il tenore di vita, le abitudini, le regole  e le tradizioni della civiltà contadina che l’avevano retta per secoli. Nell’ambito dell’Autonomia speciale, un’analoga Commissione fu istituita dall’Assemblea Regionale Siciliana con la legge 14 gennaio 1991 n. 4, mentre nei decenni successivi altre Regioni a Statuto ordinario, come la Lombardia, istituirono Commissioni dello stesso genere con poteri del tutto diversi e più contenuti. Parliamo di fatti molto lontani nel tempo che  possono essere definiti di un’altra epoca .

In origine la Commissione era nata per indagare sul fenomeno mafioso in Sicilia e sulle sue diramazioni. A ogni inizio di legislatura, e, da ultimo, nello scorso mese di marzo, il Parlamento con l’accordo di tutti i Partiti, ha sempre approvato una legge istitutiva della nuova Commissione, che nel frattempo ha allargato l’ambito di indagine a tutte le organizzazioni criminali operanti in Italia e all’estero. I poteri che essa esercita sono quelli dell’autorità giudiziaria con in più la connotazione politica che, naturalmente, non ha l’eventuale indagine condotta dalla Procura nazionale anti mafia o dalle Procure distrettuali.

E’ composta da 25 deputati e 25 senatori e cioè poco più dell’8% dei 600 eletti. Le relazioni finali rese dalle varie Commissioni in 60 anni danno conto dell’attività svolta e delle audizioni acquisite nonché della documentazione de secretata e resa pubblica e di quella non segreta e mai pubblicata. Opera certamente utile e meritoria. La lettura e l’ascolto di alcune di tali audizioni sono talmente pieni di toni autenticamente drammatici da meritare una ben maggiore diffusione. Ciò nonostante il lavoro della Commissione balza agli onori della cronaca solo nel momento in cui viene audito un personaggio famoso.

E’ quanto avvenuto recentemente a seguito delle dichiarazioni rese, su sua richiesta, dal dott. Di Pietro, già punta di diamante del Pool di Milano, le cui inchieste hanno cambiato la storia della Repubblica dagli anni 90 del novecento a oggi. In verità la prima sorpresa è stata la ricomparsa dell’ex leader dell’Italia dei Valori dopo un lungo periodo di silenzio assoluto, anche in coincidenza di anniversari (trent’anni dall’inizio di “mani pulite“) e di eventi inattesi (il processo e la condanna di Davigo), per i quali le dichiarazioni si sono sprecate anche da parte di chi vi aveva poco o nulla da spartire. Ecco, invece, che Di Pietro rompe il silenzio volontario, lascia i campi e la fattoria dove vive per tornare a Roma dove a lungo ha svolto l’attività di parlamentare, ministro e capo politico, per essere sentito dal plenum della Commissione.

Dai resoconti giornalistici dell’audizione non emergono fatti nuovi significativi. Lo stesso ex PM ricorda di essere stato ascoltato già nel 1999 e nel 2009, e di avere già allora riferito quanto a sua conoscenza. Analoghe dichiarazioni Di Pietro aveva reso davanti alle Corti d’Assise di Caltanissetta e Palermo.  Ha confermato l’esistenza d’indagini parallele delle Procure di Milano e Palermo sull’intreccio mafia-appalti con una notazione “di costume” che è molto significativa sul modo di procedere da parte del Pool milanese. Di Pietro ammette infatti che la competenza a portare avanti quell’indagine era dei magistrati di Palermo. Egli e il Procuratore capo Borrelli, però, non intendevano spogliarsi dei fascicoli che il codice di rito attribuiva senza dubbio alla Procura siciliana. La questione fu risolta a tavola, come spesso avviene per tutti gli eventi di un certo rilievo. Il Procuratore Borrelli invitò a cena, a casa sua a Milano, il procuratore di Palermo mandato a mettere ordine nel Tribunale dei corvi, Caselli, il quale si presentò accompagnato dai suoi aggiunti Lo Forte e Ingroia. Il convivio portò il risultato sperato da Di Pietro, ovviamente presente al desco. Venne stabilito che Milano avrebbe continuato ad indagare, dando immediata comunicazione a Palermo dei contenuti dell’inchiesta e ricevendo a sua volta dalla Sicilia tutte le informazioni utili per proseguire. Non risulta che qualcuno dei partecipanti alla cena, alcuni dei quali ancora molto “loquaci”, abbia smentito la dichiarazione del dott. Di Pietro, il quale, nel dare atto a Caselli e agli altri colleghi di un comportamento leale e costruttivo, ha negato di avere mai avuto conoscenza diretta o indiretta del rapporto del ROS, che in quegli anni aveva dato a Borsellino e Falcone molto materiale per indagare in mille direzioni.

E poi, udite, udite! ha affermato che l’indagine venne bloccata in quanto stava arrivando a un livello al quale non avrebbe dovuto giungere. Insomma, un PM che ha incarcerato alcuni tra i più potenti e influenti uomini politici e imprenditori del Paese, che ha ottenuto la condanna definitiva di Craxi, ex Presidente del Consiglio e leader indiscusso del Psi, che ha messo in moto un meccanismo che ha annientato i partiti che avevano governato l’Italia dal secondo dopoguerra fino al 1994, che ha apertamente accusato lo IOR, e quindi il Vaticano, di partecipare alla grande corruzione dello Stato, che venne espatriato con false generalità in Costarica per essere sottratto a possibili attentati e che si dimise dalla Magistratura nel dicembre 1994 per fondare un Partito con il quale ottenne quasi un milione e mezzo di voti, ha dichiarato che non gli fu consentito di andare avanti nell’indagine. Quale altro e maggiore obiettivo avrebbe potuto colpire? Difficile immaginarlo perfino con tutta la fantasia e la buona volontà possibili.

Nella pagina successiva del quotidiano che riferiva dell’audizione era riportata la notizia della morte, a 100 anni compiuti, di Kissinger. Il redattore ricordava l’episodio, che si sostiene essere realmente accaduto, dell’irritazione manifestata dall’allora Segretario di Stato di Nixon al Presidente Moro per la sua volontà di portare al Governo in Italia il PCI facendogli presente che di una tale scelta avrebbe potuto pentirsi amaramente anche sul piano personale. Vero o falso? Letto oggi è sicuramente inquietante!

 

Fonte Foto: Wikimedia Commonswww.aldomoro.euPDM 1.0 Deed

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