DUE STATI PER DUE POPOLI IN PACE
di Giuseppe Gullo
Le terribili immagini della sanguinosa incursione di militanti di Hamas nei kibbutz d’Israele e le immagini di guerra che ne sono seguite nella striscia palestinese di Gaza hanno inondato le nostre case trasmettendo l’orrore delle violenze e delle morti di migliaia d’innocenti. I fiumi di sangue causati dalla violenza omicida di Hamas hanno alimentato odio, vendetta, e quindi nuove morti e distruzioni. Una spirale che sembra infinita e che porta con sé i semi di una tragedia epocale, assurda e nello stesso tempo inarrestabile, rispetto alla quale la comunità internazionale è incapace di prendere iniziative significative per promuovere in quella sventurata regione una convivenza pacifica e rispettosa dei diritti dei due popoli che storicamente vi si sono nel tempo insediati.
La selvaggia aggressione dei militanti di Hamas contro civili ignari e indifesi non ha alcuna giustificazione da nessun punto di vista, allo stesso modo in cui non può averne quella russa in Ucraina. Alcuni distinguo che vengono fatti, più o meno subdolamente, nel momento in cui si contano i morti di entrambe le parti e si teme per la vita degli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas suonano come note stonate quando invece la comunità internazionale, e quella occidentale in primo luogo, hanno il dovere della chiarezza e della solidarietà incondizionata verso Israele.
Corriamo sempre di più il pericolo di un allargamento dei confini della guerra in un’area che, dal secondo dopoguerra a oggi, non ha mai avuto un solo giorno di vera pace e nella quale i veti incrociati, gli interessi contrapposti, il cinismo e l’egoismo non hanno consentito di raggiungere una soluzione che rispettasse il principio sempre enunciato e mai attuato di due Stati liberi e sovrani per due popoli che si riconoscano reciprocamente il diritto di risiedervi stabilmente e pacificamente.
Dal 29 novembre 1947 quando l’ONU, con la risoluzione n. 181, approvata a maggioranza (33 a favore, 13 conto, 10 astensioni) ma con l’opposizione dei paesi arabi, decise la spartizione di quel territorio tra arabi ed ebrei, e da quando poi, il 14 maggio 1948, fu proclamata la nascita dello Stato d’Israele, con Gerusalemme amministrata dall’ONU, non vi è mai stata vera pace, né il processo di civile convivenza è mai veramente iniziato. Tutti i tentativi sono andati a vuoto, boicottati dall’una o dall’altra parte, e sono stati lastricati di morti anche eminenti, come l’uccisione del presidente egiziano Sadat, il 6 ottobre 1981, che così scontò il suo desiderio di pace essendo andato in Israele quattro anni prima, e l’ex premier israeliano Yitzhak Rabin, ucciso il 4 novembre 1995, per avere implementato gli Accordi di Oslo, ed entrambi assassinati da estremisti delle loro stessa parte.
Ancora oggi, il punto di maggiore vicinanza a una soluzione condivisa fu proprio la nascita dell’Autorità Nazionale Palestinese con l’accordo di Oslo del 1993, che, per un certo tempo, sembrava potere dare i suoi frutti, specie dopo che nel 2005 Israele cedette all’Autorità Palestinese la striscia di Gaza liberandola forzatamente dai coloni ebrei che vi si erano insediati.
Ed è qui che s’inserisce la presenza di Hamas, che col golpe del 2007 ha espulso dalla striscia l’Autorità Palestinese, iniziando da allora una guerra fratricida con Al Fatah, il partito di Abu Mazen, succeduto ad Arafat, per conquistare prestigio, finanziamenti e potere nel modo arabo, mentre conduceva una guerra sanguinosa con Israele per incutere terrore ai suoi cittadini, in termini crescenti sino agli agghiaccianti omicidi dei giorni scorsi.
Chi ha visitato Israele e la Palestina ha visto che la guerra era in atto, Gerusalemme presidiata da centinaia di check point con ragazzini imberbi con i mitra spianati, controlli meticolosi per passare da una parte all’altra, interi quartieri vietati agli uni o agli altri, un muro divisorio di decine di Km che separa la zona palestinese, povera e arretrata, da quella ebraica, progredita e opulenta.
È in questo scenario che da allora si confrontano in armi i palestinesi, che ritengono di avere subito e di stare ancora subendo la progressiva espulsione dalla terra nella quale vivono da millenni godendo della simpatia e del sostegno finanziario dei paesi arabi e gli israeliani, a loro volta forti del loro originario insediamento in quelle terre e consapevoli della loro capacità di fare fiorire un territorio lasciato desertificare dagli arabi, e che, confortati dai sostegni delle democrazie occidentali, fanno prevalere la loro forza militare e il benessere conquistato.
Resta il fatto che di fronte alla determinazione di un popolo intero non sono sufficienti denari ed efficienza come dimostra il flop del Mossad, mitico servizio di intelligence ebraico, che non ha rilevato un’organizzazione che ha coinvolto migliaia di persone, un immenso arsenale militare e un fronte d’attacco di centinaia di Km.
Nei quartieri abitati dagli ebrei ortodossi nessuno è gradito, né musulmano né occidentale. Gli uomini non lavorano, non fanno il servizio militare, vengono mantenuti dallo Stato, studiano e si dedicano a procreare utilizzando le donne come mero strumento a questo solo fine, senza che esse abbiano diritti e voce in capitolo su nulla.
Il terrorismo trova alimento e sostegno in una simile situazione senza che nessuno faccia nulla per porre un argine a un andazzo il cui esito era scritto. E’ giusto dire, per quanto mi risulta, che solo la Chiesa Cattolica – che rappresenta appena il 4% della popolazione ed è purtroppo in calo per gli effetti della crisi demografica che colpisce tutto l’occidente – riesce a farsi apprezzare e a offrire al popolo palestinese una prospettiva e una speranza gestendo presidi religiosi che organizzano scuole per la popolazione araba.
L’Europa insanguinata dall’aggressione russa all’Ucraina assiste impotente a questa nuova tragedia che è potenzialmente ancora più grave dell’altra e che ha una possibilità di soluzione solo diplomatica recuperando seriamente, con buona volontà e con fermezza e caparbietà, la sola strada che aveva lasciato intravvedere una soluzione equa e condivisa: Due Stati per Due Popoli in Pace!
Il problema è come arrivare a due stati per due popoli. Lo si può fare solo dall’alto, imponendo, forzando e superando l’ostilità dei paesi che per loro ragioni di politica e fanatismo preferiscono il perdurare dell’attuale situazione. I popoli palestinese e israeliano dovrebbero isolare estremisti e fanatici, cosa forse relativamente facile per gli israeliani ma quasi impossibile per i palestinesi.
Un piccolo passo “dal basso” potrebbe essere la formazione di circoli culturali “di amicizia israelo-palestinese” iniziati da persone coraggiose e di buona volontà, che sarebbero ovviamente osteggiati dai fanatici che li vedrebbero come “traditori” ovviamente da punire. Un picolo passo, ma si comincia sempre con i piccoli passi. GDMassimo
Analisi perfetta esposizione coinvolgente e obbiettiva
una sintesi esaustiva della drammatica situazione volutamente ignorata per tanti anni ma che ora non può non obbligare alla ricerca di una rapina soluzione