LA POLITICA ITALIANA IN ORDINE SPARSO VERSO LE EUROPEE
di Giuseppe Gullo
I sondaggi sulle intenzioni di voto alle elezioni europee di giugno 2024, considerata la distanza di tempo che ci separa dalla data elettorale, hanno un valore solo indicativo. Molti elementi non prevedibili possono modificare anche profondamente l’attuale orientamento creando scenari nuovi. Al momento sembra delinearsi una propensione favorevole alla conferma dell’attuale maggioranza, Popolari, Socialisti e liberali, che consentì l’elezione di Von der Leyen e della Commissione che hanno governato l’UE nel quinquennio che volge al termine. A questa maggioranza potrebbero aggiungersi, in misura importante e forse determinante, i voti dei Conservatori e Riformisti Europei (in sigla ECR) dei quali fa parte FdI. Sul versante opposto si colloca la Lega la cui adesione alla destra anti europeista è aperta e dichiarata. È quindi possibile e forse probabile che i due maggiori partiti che in Italia guidano la maggioranza di governo si trovino in Europa su posizioni opposte. Non sarebbe una novità assoluta se si tiene conto che nella passata legislatura il M5S ha appoggiato la maggioranza Ursula mentre la Lega l’ha osteggiata. La novità sarebbe la posizione di FdI. Il partito di Meloni nel 2019 ebbe alle elezioni europee il 6,4 % e 5 seggi a fronte dei 28 seggi e del 34,6% della Lega. Oggi i dati sono del tutto diversi con FdI stabilmente sopra il 30 e la Lega intorno al 9, e quindi numeri quasi invertiti in cinque anni.
Non solo. La Meloni, forte del suo ruolo e intenzionata a rafforzare la sua posizione nell’UE, ha lasciato la presidenza di ECR per avere le mani libere e potere così portare il suo gruppo nella maggioranza dell’Europarlamento e nella Commissione al posto di Gentiloni, al quale è stato notificato un preavviso di sfratto. Se i fatti dovessero confermare queste ipotesi, le conseguenze sul governo italiano potrebbero essere significative. Difficile ipotizzare crisi dell’esecutivo il cui costo potrebbe essere elevato per chi la dovesse provocare. In realtà, se le “regole di un tempo“ avessero ancora valore, una rottura su una questione così importante dovrebbe avere come effetto una riconsiderazione dell’alleanza. Così non sarà. Aumenterà la polemica interna con rivendicazioni sterili di coerenza da un lato e di ragioni di Stato e d’interessi superiori dall’altro.
È comprensibile che la Presidente del Consiglio, euroscettica da sempre, cerchi di salvare i fondi del PNRR già in discussione per i ritardi e le inadempienze che stiamo accumulando. Questa analisi prescinde dal risultato elettorale che, naturalmente, sarà l’elemento determinante per capire quello che potrà accadere in tutti gli schieramenti. Se per ipotesi i dati elettorali dovessero essere conformi ai sondaggi odierni, il governo proseguirebbe il suo percorso con un ruolo rafforzato di FdI e della sua leader. Se dopo un anno e mezzo di governo nel quale l’immigrazione è aumentata, l’inflazione ha eroso il potere d’acquisto delle famiglie, la sicurezza personale è diminuita, la Giustizia è lenta quanto prima, il PNRR è in bilico, la sanità boccheggia, la scuola e l’università sono neglette come negli ultimi 15 anni, e, con tutto ciò. FdI prende il 30% in una elezione per una istituzione nella quale non ha mai creduto, è certo che gli elettori vogliono essere governati da questa forza politica.
Novità, se ce ne saranno, potranno arrivare nello schieramento più orientato al centro sul quale potrebbe farsi sentire l’effetto della scomparsa di Berlusconi e l’assenza di un riferimento politico credibile che lo sostituisca. Renzi sta giocando questa carta che presenta rischi e potenzialità. Il senatore di Rignano ha coraggio e intraprendenza ma non riesce a comunicare con l’elettorato. Forse il suo tempo è scaduto. Il tentativo tuttavia deve essere fatto e per portarlo avanti è necessario un programma liberal-socialdemocratico e un leader credibile che lo impersoni. Stento a individuare l’uno e l’altro. Potrebbe essere interessante, forse, prendere esempio da quanto sta avvenendo in Sicilia, da sempre laboratorio di sperimentazione di formule politiche. La Trinacria vede nascere un polo centrista nel quale confluiranno Forza Italia il cui leader è l’attuale Presidente della Regione il quale non sta brillando per efficienza e incisività, la nuova Democrazia Cristiana guidata da Totò Cuffaro, ex Presidente della Regione, forte di un significativo successo alle regionali di un anno fa, e Raffaele Lombardo, anch’egli ex Presidente della Regione e capo del MPA, la cui forza elettorale si aggira intorno al 6%. Un’aggregazione che potrebbe rappresentare un riferimento per chi volesse veramente spendersi per vedere nascere e affermarsi una forza autenticamente moderata e europeista che non abbia come obiettivo quello di svuotare Forza Italia, come sembra voglia fare Renzi, bensì di garantire e favorire una transizione verso un nuovo soggetto politico che veda la luce nella fase post berlusconiana che è in atto. Ma, come si sa, l’elettorato segue giustamente logiche sue proprie e saperle intuire o immaginare è un esercizio di grande difficoltà.
Sul fronte dell’opposizione la lettura dei possibili effetti del voto si gioca su pochi punti percentuali. Il Pd parte da un 22,4% del 2019 che rappresenta il suo miglior risultato degli ultimi anni. Se dovesse scendere sotto il 20, il fuocherello del dissenso verso la segretaria diventerebbe incendio difficilmente controllabile. Si aprirebbero scenari imprevedibili con esiti inimmaginabili. Sopra il 20 % Schlein resterebbe in sella ovviamente con diverse modalità e forza a seconda della percentuale conseguita. Per il M5S, accreditato di circa il 16%, non è in discussione la leadership bensì la tenuta in una competizione nella quale i cavalli di battaglia del movimento non hanno una ricaduta conseguente all’esito elettorale. Riuscirà a mantenere una percentuale vicina al PD che gli consenta di farlo considerare come alleato indispensabile per un’alternativa credibile? E’ un tema molto arduo da affrontare nel quale si confrontano aspetti tattici e visioni di più lungo respiro e la difficoltà di stabilire rapporti politici duraturi con un movimento che ha nel suo DNA una matrice innegabilmente populista. Troppi se, quindi, e poca politica. Europeisti ed euro scettici sulla stessa barca, anti europeisti sulla riva del fiume in attesa di un’eventualità che, se malauguratamente si verificasse, sarebbe tragica.