L’ENNESIMA LEGISLATURA ALLA PROVA DELLE RIFORME
di Giuseppe Gullo
E’ trascorso un anno dalle elezioni politiche di settembre 2022 e naturalmente problemi vecchi e nuovi si sono affastellati nell’agenda del Governo. La velocità degli eventi che si susseguono è tale per cui finiamo tutti con l’occuparci dell’argomento del giorno, magari del tutto evanescente e inconcludente, dimenticando alcune delle questioni che sono invece molto importanti per il futuro del Paese.
La Presidente del Consiglio, con qualche inciampo politico e familiare, ha dimostrato duttilità e capacità di adeguare i comportamenti dell’Esecutivo che presiede alle necessità dettate dalle alleanze internazionali e dalle contingenze politiche. Naviga a vista cercando di mantenere saldo il timone ed evitare sbandamenti causati, più o meno consapevolmente, da alleati e sodali in cerca di visibilità e/o coperture a comportamenti difficilmente giustificabili. Sono esercizi non nuovi che si ripetono nel tempo il più delle volte determinati da scelte di personaggi il cui restyling è molto complicato anche per il re del trucco.
Sembrava che il problema della legge elettorale e della riforma costituzionale fosse una priorità assoluta; al momento, per quanto ne sappiamo noi comuni mortali, la Ministro Casellati starebbe lavorando su una bozza, non pubblica, che intende introdurre il premierato in una forma allo stato non nota. Se fosse così, la proposta di riforma costituzionale del 2018, che prevedeva l’elezione diretta del Presidente della Repubblica e che aveva come primo firmataria l’attuale premier, sarebbe stata definitivamente abbandonata. Nel corso del Forum di Trento organizzato dal Sole 24 ore nel Maggio scorso, la responsabile delle Riforme Istituzionali del Governo, non si è espressa chiaramente ribadendo che l’esecutivo procede nel senso di una riforma che preveda l’elezione diretta del PdR o del Premier per perseguire il duplice obiettivo di dare stabilità ai Governi e di investire gli elettori della scelta di chi debba avere ai massimi livelli la responsabilità di guidare il Paese.
Siamo in sostanza all’anno zero nonostante su questo delicato e fondamentale problema si siano versati fiumi d’inchiostro e siano state presentate numerose proposte da tutte le più importanti forze politiche. Il campo delle riforme istituzionali è minato, come hanno dimostrato tutti i tentativi abortiti che hanno causato i naufragi di chi li ha voluti. E’ tuttavia una questione ineludibile sulla cui soluzione, a parole, tutti concordano. Peraltro il fatto che l’instabilità politica abbia caratterizzato questi 75 anni trascorsi dal 1948 è testimoniato dal succedersi di ben 68 Governi la cui durata media è stata di 14 mesi. E’ giusto tuttavia osservare che dal 1948 al 1992 i governi che si sono succeduti hanno rappresentato soltanto quattro formule politiche (centrismo, centro-sinistra, solidarietà nazionale, pentapartito), tutte imperniate sulla Democrazia Cristiana che ha garantito, insieme ai Partiti alleati, la sostanziale continuità dell’indirizzo politico, e ciò anche col primo Governo a guida non DC, quello presieduto da Spadolini nel 1981. Poi, dal 1994, scomparsi i partiti che avevano governato il Paese per oltre 40 anni, alla breve durata dei governi si sono aggiunte instabilità e precarietà, con ogni Legislatura impegnata a disfare quel che aveva prodotto la Legislatura precedente.
Coincide con le presidenze del Consiglio laiche, negli anni 80, l’avvio del dibattito sulle riforme del sistema costituzionale previsto nella Carta vigente. In 40 anni nessun sostanziale passo in avanti è stato fatto e, purtroppo, le novità introdotte sono state in larga misura peggiorative, come nel caso della riforma del titolo V. Siamo ancora quasi al punto iniziale con proposte che durano pochi giorni per essere sostituite da altre anch’esse caduche, in un gioco tattico nel quale nessuno dichiara il vero obiettivo e punta soltanto a “bruciare” le proposte degli altri. Trascorrono così gli anni, aumenta l’assenteismo alle urne, i rimedi introdotti si rivelano peggiori dei mali, se tali veramente erano, come nel caso della riduzione dei Parlamentari. Alla fine viene il dubbio che lo status quo non dispiaccia affatto a chi guida i partiti, tutti quanti, che si trova nella condizione di fare scelte ad libitum la cui motivazione prescinde, quasi sempre, da qualità e competenza per rispondere a criteri di appartenenza e di familismo. Questo meccanismo perverso mina le basi della Democrazia e ne mette a rischio la stessa natura tanto da legittimare autorevoli commentatori a parlare apertamente dell’attesa dell’uomo forte capace di raccogliere i consensi con una miscela esplosiva di populismo, nazionalismo, decisionismo e qualunquismo che va denunciata per combatterla con gli strumenti propri dei sistemi democratici e cioè il consenso su proposte e su programmi.
Se tra poco più di un mese uno sconosciuto, tracotante e folcloristico piccolo masaniello del profondo Sud dovesse vincere le suppletive in Brianza per l’elezione di un senatore in sostituzione del defunto leader di Forza Italia, qualcuno potrebbe attribuire l’esito a un incidente di percorso invece che a uno scadimento e ad un imbarbarimento della politica? Sarebbe la stessa cosa di chi avvertendo fitte al torace e formicolio alle braccia pensasse agli effetti nocivi dell’aria condizionata invece che a segnali premonitori di una malattia cardiovascolare. Ho l’impressione, mi auguro sbagliata, che si attenda l’arrivo in rianimazione per intervenire in modo deciso. Purtroppo dalla rianimazione spesso non si viene fuori sulle proprie gambe.
Adesso poi tutto si complica con l’avvicinarsi della scadenza delle elezioni europee di giugno 2024 con la campagna elettorale già lanciata e l’annuncio della nascita di una nuova formazione politica “Centro” e la candidatura del senatore Renzi al quale possono essere mosse molte critiche ma che ha sicuramente la capacità di “fiutare” il vento che tira sebbene non sempre abbia dimostrato la stessa capacità nel tenere il timone saldo nei marosi della politica italiana. Le grandi manovre sono in corso e anche la richiesta di modificare il quorum d’accesso dal 4 al 3 % fa parte del gioco, in parte scoperto e per la maggior parte ben coperto da accordi presi in stanze blindate o quasi. In una simile situazione la possibilità che possano andare in porto riforme costituzionali serie e ben fatte è prossima alla zero. Nel frattempo la partecipazione degli elettori al voto è diminuita di trenta punti dal 93,4 del 1976 al 63,8 del 2022. Più che un campanello d’allarme sembra una forte scampanata che segnala un incendio in corso.