La falsa etica del tassare i così detti extraprofitti*
di Pietro Di Muccio de Quattro
Con un rigurgito di etica socialistoide il Governo, che dichiarava programmaticamente di voler proteggere “chi sa fare e fa”, colpisce con un’imposta straordinaria i così detti extraprofitti bancari. Né basta. L’imposta viene “irrogata” a fin di bene, ovvio, riconducibile genericamente ad una fantomatica “equità fiscale”. Due sono le false basi etiche della decisione governativa che, mentre pare coerente alle ideologie di Meloni e Salvini come storicamente formatesi, stupisce con riguardo alla formazione politica di Tajani. Esse riguardano il profitto e la giustizia, però nell’erronea convinzione che esista un giusto profitto e una giusta distribuzione.
Giustizia sociale e profitti ingiusti sono espressioni senza senso che nondimeno costituiscono un’arma micidiale nelle mani dei governanti e il felice inganno dei governati. La giustizia riferita all’economia non ha a che fare con il giusto e l’ingiusto, cioè la conformità o difformità della condotta ad una norma generale ed astratta, ma con la specifica decisione dei politici che così la qualificano in base a criteri personali e soggettivi, non impersonali ed oggettivi. Il giusto prezzo è determinato o stabilito dalla valutazione comune nel mercato, non da un Parlamento o Governo o Autorità. San Bernardino da Siena, un grande Santo, e sia Meloni sia Salvini sono devoti alla Santità cristiana, già circa sette secoli fa affermò che è impossibile stabilire il livello del giusto profitto, facendo notare che “se è legittimo perdere, deve essere legittimo vincere”.
I profitti bancari sono giustificabili per il semplice fatto che sono ottenuti comprando e vendendo il denaro ai prezzi di mercato. Un limite, ex ante, ai profitti non può né deve essere imposto per legge, così come, ex post, non può né deve essere stabilito con un provvedimento paralegale. Se l’attività economica è lecita, e l’impresa bancaria è addirittura protetta costituzionalmente due volte perché la sua materia prima sono i risparmi dei clienti depositanti, l’idea che i profitti non debbano essere distribuiti oltre un certo limite, da chiunque fissato, equivale ad esercitare il controllo statale sul fondamentale settore del credito. Ma quando le banche pubbliche furono privatizzate, lo scopo era esattamente opposto: farne imprese produttive che generano profitti, appunto.
Se un profitto possa essere considerato “equo”, sicché l’extra debba essere tassato diversamente oppure confiscato, è impossibile stabilirlo ovvero può essere stabilito dall’arbitrio del “governo-legislatore”, ma in tal caso non ha senso definirlo giusto. A tacere che, non sarà mai ripetuto abbastanza, equità significa uguaglianza, non giustizia. L’imposta sugli extraprofitti, essendo discriminatoria verso gli altri tipi di profitti, è di per sé iniqua perché contraria all’eguaglianza legale e soprattutto perché possiede il carattere del privilegio negativo, essendo fatta in odio alle vituperate banche, depositarie dello “sterco del Diavolo”. Essa perciò vìola uno dei cardini morali e politici della tassazione e della finanza. Altresì discriminatoria è pertanto l’individuazione dello specifico settore dove sarebbero stati “riscontrati” i presunti extraprofitti, che invece vengono generati continuamente dalle condizioni dei mercati in ogni minimo ganglio dell’attività economica, come movimenti interdipendenti delle azioni di scambio volontario e cooperazione umana. In ogni istante e in ogni ramo economico, di massa e di nicchia, si generano extraprofitti, grandi e piccoli. Il Governo istituirà un ministero per individuarli e calcolarli e tassarli per l’uzzolo del momento?
La falsa etica della tassazione degli extraprofitti bancari è comprovata infine dalla giustificazione addotta per decretarla: “È per il bene comune”. Aumentando i tributi, per di più in modo discriminatorio, cresce dunque il bene comune? Anche l’espressione “bene comune” suggerisce un fatto importante, quasi connotato religiosamente, ma non significa niente di fattuale. Il vero bene comune è la libertà, la quale, essa sì, costituisce un bene per tutti, morale, giuridico, politico. Gli “extraprofitti” sono la prova incontrovertibile del buon uso imprenditoriale e dell’utilità generale della libertà economica, non già di una condotta ingiusta, illecita, riprovevole, che debba essere punita con una confisca straordinaria ad hoc.
Pubblicato su L’opinione della Libertà 11.08.2023