IL PIANETA GIUSTIZIA ALLE PRESE COI TENTATIVI DI RIFORMA
di Giuseppe Gullo
Mai più un anziano avvocato con più di 50 anni di professione e un’antica militanza nel campo progressista avrebbe potuto pensare che le affermazioni più vicine al suo modo d’intendere il funzionamento della Giustizia in Italia fossero di un Ministro Guardasigilli eletto in FdI e per di più ex magistrato. Eppure sta accadendo! L’on. Nordio dice e propone riforme che s’inscrivono a pieno titolo nel solco della cultura garantista e, se mi consentite, progressista del nostro Paese. Questa stessa impressione hanno molti amici e colleghi coi quali mi è capitato di discuterne. Questa condivisione mi ha confortato sotto un duplice profilo: personale perché ha fugato il dubbio, che pure si era affacciato in un angolo del cervello, che la vecchiaia avesse portato con sé un discernimento appannato e la prevalenza d’idee più inclini a parole d’ordine sempre aborrite; politica perché mi ha riconciliato con il contenuto dell’art. 27 della Costituzione troppo spesso dimenticato e violato e con gli insegnamenti dei Padri costituenti.
Cosa sta accadendo di così sconvolgente da fare titolare a importanti quotidiani che si stanno varando leggi salva corrotti e che l’intero sistema giudiziario è a rischio default? Avviene che l’ordine giudiziario teme che si imbocchi la sacrosanta strada del ripristino delle regole costituzionali, della delimitazione dell’ambito dei poteri come disposti dalla Carta, della fine dei veti e delle ingerenze indebite. Il Ministro di Grazia e Giustizia che dice chiaramente al Segretario dell’ANM che criticare un ddl del Governo, prima che esso sia approvato dal CdM, è ingerenza, mette in chiaro quali sono compiti e funzioni del Governo e quali quelli di un sindacato sebbene rappresentativo della grande maggioranza dei togati. Un organo costituzionale ha un livello di interlocuzione diverso da quello di un’associazione di categoria. Come ha giustamente rilevato Nordio, il CSM è l’interlocutore dell’Esecutivo e non lo è il singolo magistrato, ne’ l’organizzazione che li riunisce. È un problema di sostanza e non di forma sebbene quest’ultima abbia la sua importanza.
A cosa si starebbe attentando quindi? Alcuni quotidiani da giorni pubblicano a titoli cubitali e a piena pagina titoli del seguente tenore “Legge Salva Corrotti” ; “Nordio show contro le toghe”, e simili, con all’interno molte pagine dedicate a spiegare le “tragiche” conseguenze dell’eventuale approvazione delle norme contenute nel ddl governativo. Ovviamente i titoli sono tali da far pensare che sia in atto una profonda modifica di tutto l’impianto normativo di contrasto all’illegalità che mette a rischio la tutela della trasparenza della pubblica amministrazione.
Non è così. Il Governo propone al Parlamento di intervenire su due versanti. Il primo è l’abrogazione dell’abuso d’ufficio sul quale anche i più tenaci sostenitori del suo mantenimento hanno dovuto riconoscere, numeri alla mano, la quasi impossibile applicazione, argomentando l’utilità del suo mantenimento come “ reato spia”. Spia di eventuali e ipotetici altri reati sottostanti e dei quali, al momento in cui viene avviata l’indagine, non si sa nulla. E’ così che si fanno le indagini? Quali norme lo consentono? L’evocazione, anche indiretta, di chi ascolta alla ricerca di tradimenti, trame oscure, compromissioni e scambio di informazioni riservate, sa troppo di regime per essere minimamente accolta. L’abuso è da tempo una fattispecie che produce un duplice effetto negativo: è un incubo per tutti i pubblici amministratori e i funzionari, in particolare per i più seri e onesti, che temono di poter essere inquisiti per un atto sottoscritto nello svolgimento della normale attività amministrativa, e nel contempo crea un intasamento delle Procure senza alcun reale e produttivo risultato. Per il pubblico amministratore in modo particolare e per tutti in generale, l’avvio di un procedimento penale rappresenta un problema d’immagine davanti alla platea degli amministrati e produce effetti negativi, ombre che saranno diradate a distanza di anni dopo avere prodotto risultati nefasti. Quanti amministratori inquisiti non sono stati ricandidati perché era in corso un’indagine che a distanza di tempo si è rilevata infondata? Quali danni irreparabili sono stati compiuti contro queste persone e contro la comunità intera? Quanti buoni amministratori hanno fatto un passo indietro volontario di fronte alla concreta e crescente probabilità di essere indagati per un atto sottoscritto nel corso del mandato amministrativo?
Intercettazioni telefoniche e ambientali sono una argomento ad altissimo indice di sensibilità. Su di esso i magistrati inquirenti fanno quadrato nel dire che non si debbono toccare e che la normativa esistente è sufficiente a disciplinare la materia. L’esperienza quasi quotidiana smentisce nettamente quest’affermazione se si considerano i moltissimi casi di atti riservati che vanno a finire sui giornali. Nordio, con l’esperienza di chi ha fatto per 40 anni il PM in processi di grande rilievo, ha chiarito benissimo i termini della questione: ”Una barbarie che costa 200 milioni l’anno …una cifra colossale per inchieste che raggiungono risultati minimi”.
Attacco alla magistratura? No, Civiltà giuridica! E’ troppo chiedere che il contenuto delle intercettazioni non venga reso pubblico per la parte che non attiene al procedimento e/o che riguarda persone diverse dall’indagato ed estranee all’inchiesta? E’ troppo pretendere che gli avvisi di garanzia, istituiti a tutela dell’indagato, non siano comunicati a mezzo stampa o durante pubblici dibattiti in Parlamento o in altre sedi? E’ eccessivo attendersi dai PM il rispetto dei diritti e della persona dell’indagato e del riconoscimento sostanziale del principio di non colpevolezza ?
Recentemente si sta alzando una barriera preventiva contro la possibile modifica del reato di concorso esterno in associazione mafiosa. La stessa Presidente del Consiglio è dovuta intervenire per precisare che esso non fa parte del “pacchetto” predisposto dal Governo. Di cosa si sta discutendo effettivamente? Tecnicamente non si tratta di un reato codicistico bensì di una “evoluzione giurisprudenziale” frutto unico e anomalo di uno sviluppo interpretativo della Cassazione. Il principio “nulla poena sine lege”, valido da millenni, è stato travolto e dimenticato. La Corte di Strasburgo sul caso Contrada ha ribadito l’assoluta validità di quel principio scrivendo che erano stati violati i principi “di non retroattività e di prevedibilità della legge penale” , annullando la condanna inflitta all’ex numero tre dei servizi segreti.
Ancora oggi la discussione intorno a questa ipotesi di concorso nel reato di associazione mafiosa è accesa e sono numerosi gli studiosi di diritto penale che ne negano la validità e l’applicabilità al di fuori della fattispecie del concorso di persone. Il problema tuttavia non è questo. Nordio ha sempre dichiarato, e la Presidente del Consiglio l’ha ribadito, che i reati di mafia non formano oggetto delle proposte di riforma elaborate dal ministero di cui è responsabile Nordio, né per quanto riguarda le intercettazioni, né per l’applicazione dell’art. 41-bis L. 663-1986 ( carcere di massima sicurezza), né per altro. Il fuoco di sbarramento, a ben guardare, è un diversivo in attesa dell’attacco su altri temi, in primis la separazione delle carriere.
E’ consentito all’associazione dei Magistrati affermare che la separazione delle carriere rappresenta un pericolo per la Democrazia? L’Ordine giudiziario fa bene a rivendicare la sua autonomia riconosciuta dalla Costituzione, ma non può esprimere giudizi di merito su proposte che, una volta divenute leggi dello Stato, ha l’obbligo di rispettare ed applicare. La Democrazia è in pericolo in Francia dove i PM dipendono funzionalmente dal Ministero della Giustizia o in Gran Bretagna. Australia e Canada dove l’avvocato che rappresenta l’accusa dipende dal Direttore del prosecutor nominato dal Governo? La mancanza di seri argomenti per sostenere l’unicità del ruolo e delle funzioni porta a invocare allarmi e paure inesistenti. Nessun pericolo per le Istituzioni e per la Democrazia che è insidiata da altri pericoli non certo da un provvedimento che, se adottato, renderà la Giustizia penale più giusta ed equilibrata.
Qualcuno, fondatamente, sostiene che il vero e unico problema della Giustizia italiana è l’eccessiva durata dei processi. E’ un problema reale sebbene non sia l’unico. Le sentenze debbono essere rese velocemente ma nello stesso tempo debbono corrispondere a quanto previsto dal diritto positivo. Una sentenza pronunciata dopo molti anni è dannosa per le parti e, nel caso di reati, per l’imputato, ma se è ingiusta, se è contra legem crea un vulnus molto più profondo e difficile da rimarginare.
Talvolta dubito del fatto che coloro che discutono di questi argomenti abbiano mai messo piede in un’aula di Tribunale e conoscano i meccanismi di funzionamento del sistema Giustizia. Occorre distinguere. Il malato terminale è la Giustizia civile. Essa da decenni è stata trascurata, violentata, maltrattata al punto che appare difficilissimo adottare provvedimenti efficaci per invertire realmente la rotta. Vi è un arretrato pazzesco di milioni di processi, i tempi di decisione, soprattutto in alcune aree, quasi tutte del mezzogiorno, sono doppi rispetto a quelli medi. In appello la situazione si aggrava sebbene, in linea di principio, l’attività istruttoria sia azzerata tranne casi particolari. Eppure il numero dei Magistrati di ruolo e onorari è il più elevato d’Europa e le cancellerie hanno un numero di addetti che, soprattutto nell’ultimo periodo, è giunto a quantità molto elevate. Il codice di procedura civile è stato riformato un’infinità di volte, da ultimo dal precedente Ministro con risultati sempre uguali e cioè nulli. Nonostante questo, documentalmente certo, vi sono Tribunali nei quali in tre anni in media si definisce un giudizio di primo grado con rito ordinario e le cause di lavoro vengono decise nell’arco di un anno dal momento in cui vengono incardinate. E’ un problema atmosferico? O piuttosto dipende dall’organizzazione degli uffici e dalla capacità dei loro dirigenti di controllare, sollecitare e premiare chi produce, sanzionando chi ritarda immotivatamente.
I capi degli Uffici debbono essere scelti sulla base di comprovate capacità manageriali e organizzative che non sempre corrispondono a quelle curriculari. Ho conosciuto ottimi magistrati del tutto incapaci di dirigere un ufficio e talmente lontani da conoscenze di produttività ed efficienza da consentire a chiunque di fare ciò che riteneva, e cioè praticamente nulla. Al contrario ho visto in azione magistrati non particolarmente eccelsi in campo giuridico ma in grado di migliorare l’organizzazione degli uffici e accorciare i tempi biblici di definizione dei processi. Se il sistema funzionasse sulla base di verifiche oggettive annuali, il CSM dovrebbe assumere provvedimenti nei confronti dei direttivi e semi direttivi che si limitano a fare meno udienze degli altri, quando le tengono, e si chiudono in ufficio con due o tre filtri prima di poterli incontrare.
La prima giustificazione che viene data quando si chiede conto e ragione del perché avvenga questo fenomeno del tempo infinito, è che l’organico è incompleto e vi è un eccessivo carico del ruolo del Giudice. Quasi sempre si tratta di un giudice appena trasferito magari sostituito da un giudice onorario, ma questi ultimi non vengono conteggiati. Se insistete per chiedere quanti giorni a settimana tiene udienza un magistrato di una sezione civile, la risposta è indiretta, nel senso che viene fatto presente che deve fare moltissime altre cose e cioè decreti ingiuntivi, provvedimenti d’urgenza e udienze collegiali. Un magistrato di media capacità impiega da 15 a 20 minuti per studiare un fascicolo di D.I. e diciamo circa un’ora per un provvedimento d’urgenza peraltro non frequentissimo. Delle collegiali basti dire che, dopo le riforme che si sono susseguite, sono diventate rare e quasi mai pubbliche. Il problema vero è la produttività, l’organizzazione e la suddivisione del lavoro. Se questi fattori vengono ben combinati i tempi diventano ragionevoli con qualche eccezione di casi veramente complicati e ingarbugliati che esistono ma sono appunto eccezionali. Alcune novità pare che abbiano dato risultati positivi come il Tribunale specializzato in materia d’impresa e le sezioni dedicate al diritto di famiglia. E’ un’indicazione da seguire insieme a quella principale: lavorare e produrre.
In materia penale la situazione è diversa. I tempi, tranne casi particolari, non sono biblici benché lunghi e il Giudice del dibattimento monocratico o collegiale emette le sentenze in tempi accettabili. Anche in questi casi molto dipende da chi dirige. Posso riferire che in un medio tribunale pochi anni fa una Presidente di sezione penale riuscì a smaltire quasi tutto l’arretrato usando un semplice criterio: se all’udienza di oggi vi era un difetto di notifica che imponeva un rinvio, fissava la causa a otto giorni disponendo che la notifica venisse rinnovata a cura dei Carabinieri. Allo stesso modo se il difensore dell’imputato presentava un’istanza di rinvio per legittimo impedimento perché impegnato in Cassazione, la nuova udienza veniva fissata entro dieci/ quindici giorni. Il risultato è stato che l’arretrato è stato quasi azzerato e le richieste di rinvio quasi eliminate. Il ritardo in penale nasce nella fase delle indagini preliminari e ha, a mio avviso, una duplice origine. Il singolo sostituto svolge prevalentemente un lavoro routinario e ripetitivo per reati di scarso rilievo. Questa parte del lavoro va avanti in automatico, affidata per la maggior parte alla polizia giudiziaria che nei tempi possibili riferisce al PM. Per le indagini più delicate il discorso cambia. L’attenzione è maggiore, il Capo dell’Ufficio assegna il fascicolo a un PM più esperto, talvolta affiancato da un aggiunto. In questi casi il monitoraggio è continuo, ove necessario vengono richieste autorizzazioni a intercettazioni e vengono svolte altre attività investigative in tempi abbastanza ristretti. Questo vale anche o forse a maggior ragione per la DDA nelle zone a rischio mafia.
Vi è una doppia velocità ed un diverso grado di attenzione a seconda del tipo di reato. Questo è comprensibile e giustificabile. Non tutti i reati creano lo stesso allarme sociale e alcune fattispecie, anche per lo status degli indagati, presentano peculiarità diverse. Qual è la parte censurabile sulla quale è giusto intervenire. La misura cautelare che viene richiesta e ottenuta pur in assenza dei casi tassativamente previsti dalla legge per “influire” sull’indagato. Questa pratica, illegale, è stata la regola nei tempi di tangentopoli . Oggi si è molto attenuata sebbene sia ancora praticata. Una più rigorosa disciplina in questa materia è opportuna.
Quanto alla ricerca di prove sulla base di notizie di reato prive di riscontro concreto e attendibile, vale il discorso fatto sull’abuso e sui c.d. reati spia, che sono una vera e propria aberrazione giuridica. Il ragionamento è semplice: apriamo un fascicolo, ascoltiamo, indaghiamo e qualcosa troveremo. Ragionamento da Minculpop, non da democrazia matura fondata sui principi della Costituzione repubblicana. Negazione sostanziale del principio di non colpevolezza attraverso notizie che vengono fatte filtrare con le quali l’indagato X viene presentato come responsabile di un’ipotesi di reato tutta da dimostrare.
Vi sono poi le inchieste “su ordinazione” che prendono le mosse da un articolo, da un servizio televisivo o una “soffiata” arrivata al momento opportuno. Capita più spesso di quello che si possa credere. Per restare in tema si potrebbe definire “notizia spia” tanto per indagare in attesa che qualcosa venga fuori.
Fonte Foto: Quirinale.it – Wikipedia