LA RIFORMA FISCALE CHE CI VORREBBE
di Giuseppe Gullo
Forse sarebbe buona regola per tutti quella di prestare maggiore attenzione all’attività parlamentare piuttosto che a questioni personali abbastanza marginali. La Camera ha approvato in prima lettura la legge delega in materia fiscale. Essa verrà trasmessa al Senato, dove con ogni probabilità sarà emendata, per poi ritornare alla Camera per l’approvazione definitiva che dovrebbe avvenire prima della pausa estiva. Se questi tempi dovessero essere rispettati a settembre potremmo avere i primi decreti attuativi. Il provvedimento non contiene novità sconvolgenti ma indica alcune importanti linee d’azione. Viene diminuita l’imposizione alle imprese che effettuano investimenti o assumono nuovo personale; Si avvia la procedura per consentire alle partite IVA di versare in rate mensili l’acconto di novembre senza oneri per il contribuente; è previsto il superamento dell’IRAP, sostituita da una nuova imposizione a parità di carico fiscale; sarà varata la revisione della disciplina del bollo auto con la prevista soppressione del superbollo; è introdotta l’applicazione della flat tax sulle tredicesime e sul premio di produttività e il blocco dei premi delle polizze a copertura degli eventi calamitosi.
Non si tratta di una riforma organica e incisiva ma contiene alcune misure importanti nei confronti di vaste categorie produttive, appartenenti al mondo delle partite IVA e del lavoro dipendente. La riduzione dell’IRES per chi investe o assume e l’applicazione della tassa piatta sulle tredicesime e i premi di produttività avranno sicuramente un’accoglienza positiva da parte di milioni di contribuenti sebbene non comportino una significativa riduzione del carico fiscale. Occorre dire subito che la tassa piatta favorisce fortemente i redditi più elevati mentre rappresenta un beneficio molto limitato per quelli medi, ed è nullo per quelli più bassi. Inoltre è palesemente incostituzionale violando apertamente l’art. 53 della Carta poiché elimina il criterio di progressività a cui deve informarsi il sistema tributario. Nel provvedimento di cui discutiamo la disparità, sebbene presente, sarà contenuta in quanto inciderà sulla tassazione delle tredicesime e dei premi di produttività in misura limitata mentre per quelle più elevate rappresenterà un beneficio ben più consistente. Aumenterà in tal modo il divario tra i redditi a vantaggio di quelli più alti. È fuor di dubbio che nell’immediato la maggiore quantità di denaro che sarà percepita dai lavoratori dipendenti consentirà al provvedimento di essere accolto con favore. Se invece il problema venisse inquadrato in un’ottica più ampia di riforma del sistema, i ragionamenti dovrebbe essere ben diversi. Non pare di averne sentiti circolare di quest’ultimo tenore!
Manca del tutto la parte relativa al contrasto all’evasione ed ogni altra misura di riduzione delle aliquote soprattutto per i redditi più bassi. Non si parla affatto della tassazione delle rendite e men che meno del fenomeno, a mio giudizio scandaloso, delle società italiane con sede legale in altri paesi e approfittano di una tassazione più favorevole sebbene siano italiane e in alcuni casi controllate dallo Stato che è il maggiore beneficiario degli utili. Per quest’ultime si verifica uno strano fenomeno, unico forse nel suo genere, e cioè che il fisco rinunzia ad un’ingente somma di imposte che vengono pagate a Stati esteri per poi ricevere profitti maggiorati a seguito delle minori imposte corrisposte. Qualcuno ha fatto due conti ed ha concluso che questa operazione costa diversi miliardi di introiti in meno, oltre al fatto ingiustificabile di imprese controllate dal Tesoro italiano che hanno sede all’estero. Per le società controllate da privati, invece, la perdita è netta e viene quantificata in una cifra che oscilla dai 15 ai 20 miliardi di euro l’anno.
Mi è stato fatto osservare che la scelta di queste grandi aziende è in qualche modo obbligata in quanto rappresenta l’unica possibilità di restare competitive in rapporto a quelle di altri Paesi che godono di una legislazione fiscale più favorevole. L’assunto è che se Eni, Enel e Mediaset, per esemplificare, dovessero continuare a pagare le imposte in Italia non sarebbero in grado di fronteggiare la concorrenza di analoghe imprese tedesche, francesi o americane. Osservo in proposito che alcune delle aziende di cui parliamo, ad esempio Mediaset, hanno come competitor la Rai sovvenzionata dallo Stato con il canone obbligatorio e certamente non CNN o BBC e la loro situazione non avrebbe alcuna modifica se gli utili venissero tassati in Italia tranne che per i minori utili da dividere tra gli azionisti. Ritengo inoltre che sarebbe più equa, sotto tutti i punti di vista, una legislazione premiale tendente ad uniformare le aliquote a livello europeo per evitare che quella che si definisce una comunità sia ben altro e cioè un insieme di Stati in aperta concorrenza tra loro che cercano di accaparrarsi le aziende offrendo loro condizioni migliori del vicino di sedia a Bruxelles.
L’argomento della riforma del contenzioso tributario che intasa il sistema e costituisce una parte consistente del carico della Cassazione non è neppure considerato, così come il ricorrente argomento della riforma delle rendite catastali. Non vi è dubbio che il catasto è fermo da epoca immemorabile e presenta delle anomalie spesso ingiustificabili. Ma è altrettanto indubitabile che la tassazione immobiliare è abnorme e gravosissima essendo stata considerata sempre una forma di imposizione semplice e sicura. Sarebbe quindi necessario procedere con molta cautela e in modo differenziato.
Il settore agricolo è in crisi profonda. Rappresenta una quota del PIL del 2%, in forte discesa. Il lavoro dei campi non attrae, è faticoso e mal retribuito. L’intero comparto ha da tempo preso una deriva che sembra inarrestabile. Importiamo prodotti nei quali siamo stati i primi al mondo per secoli, come ad esempio gli agrumi e i pomodori. Quando leggo che per gli agrumi siamo stati sopravanzati dalla Spagna e perfino da Israele mi chiedo come possa essere accaduto. Chi ha visitato Israele e ha visto quella terra arida e in gran parte desertica che è stata trasformata in verdi e rigogliosi giardini e conosce la Sicilia della Conca d’oro, delle distese alle falde dell’Etna e delle colline lussureggianti della parte orientale dell’isola, non può che concludere che a fronte dell’ingegnosità degli altri abbiamo dimostrato di non essere capaci neppure di mantenere ciò che la natura benigna ci ha dato facendo di tutto per far morire le coltivazioni che sono state per secoli il fiore all’occhiello del Mediterraneo. Nessuno parla di agricoltura e spesso neppure ha idea di come utilizzare al meglio la quantità di denaro che arriverà, forse, dall’Europa. Sarebbe necessario puntare su mano d’opera giovane a costo incentivato e a investimenti nella tecnologia. Nelle condizioni attuali l’operaio non ha dubbi tra fare il lavapiatti o l’agricoltore: sceglie il primo senza esitazioni. Su un settore morente non è possibile pensare a qualche forma d’imposizione. Solo il settore vitivinicolo fa eccezione se è vero, come pare, che un ettaro di vigna sull’Etna costa mezzo milione di euro.
Le rendite catastali delle case sono ferme da lungo tempo e poiché rappresentano il parametro per l’applicazione delle imposte, qualcuno maldestramente propone di aumentarle senza stabilire alcun criterio di differenziazione. Nessuno in buona fede può sostenere che la rendita di un appartamento in zona centrale di Catania, Messina, Palermo, Napoli, Avellino, Foggia o Bari possa essere equiparato a quello avente le stesse caratteristiche di Roma, Milano, Firenze, Venezia, Portofino, Taormina o Cortina. Così come una casa in un paese interno in via di spopolamento non può essere messa sullo stesso piano di una di eguali dimensioni a San Gimignano, a Cortona o Abano Terme. Sarebbe necessario procedere con dati alla mano verificando il valore reale di mercato, in forte calo nelle realtà urbane minori, e la conformità planimetrica degli immobili per fare una revisione mirata e differenziata talvolta al ribasso. Non ci vuole molto a capire che un appartamento ai Navigli, un tempo di edilizia popolare, si è rivalutato in modo esponenziale così come quelli del quartiere Prati di Roma costruiti durante il ventennio, mentre quelli analoghi del quartiere ferrovieri di Messina o di Brancaccio o di Librino si sono deprezzati. Solo così potrebbe essere fatto un adeguamento equo e obiettivo. Ma è una pura illusione che la PA disastrata e non in grado di gestire l’ordinario possa realizzare un simile progetto. Ogni altro intervento orizzontale sarebbe esattamente come la tassa sul macinato per i contribuenti più tassati d’Europa a fronte di servizi spesso del tutto inadeguati e carenti.
Il fronte della politica fiscale è in movimento seppure in modo lento e solo parzialmente condivisibile. Tuttavia una domanda nasce spontanea: vi è una proposta alternativa delle opposizioni su cui discutere e confrontarsi? L’ho cercata senza trovarla. Per essere alternativi all’attuale Governo è necessario fare proposte su temi fondamentali come il fisco, e non andare avanti solo con titoli propagandistici.