IL CORTO CIRCUITO TRA VICENDE GIUDIZIARIE E POLITICA
di Giuseppe Gullo
Coloro che si richiamano ai valori fondanti della Repubblica, alla lotta armata che contribuì a rendere possibile la liberazione del Paese dal nazi-fascismo, ai principi fondamentali della Carta Costituzionale che ci hanno consentito di diventare una grande Democrazia e una potenza industriale, venendo fuori dalla distruzione materiale della guerra e dall’obbrobrio morale delle leggi razziste e della persecuzione delle idee, non possono transigere sulla difesa di un principio basilare di ogni sistema democratico: chi vince libere elezioni deve governare, chi le perde deve fare opposizione politica per presentarsi all’elettorato alla scadenza della legislatura con le carte in regola per diventare maggioranza e così andare al Governo. Questa regola non prevede scorciatoie né aiuti esterni o surrettizi. Se dovesse accadere il contrario, come purtroppo è avvenuto nel passato anche recente, il vulnus costituzionale sarebbe molto profondo e lascerebbe segni permanenti in una Democrazia giovane e, per tanti versi, frequentemente percorsa da sussulti non fisiologici.
Fuor di metafora. La Destra al Governo ha vinto in modo chiaro le elezioni politiche, anche se grazie a una legge elettorale paradossalmente voluta dagli altri. Ha una maggioranza parlamentare netta e numericamente certa e ha il diritto di Governare, rispettando ovviamente il ruolo e la funzione dell’opposizione. L’idea neppure velata di potere ribaltare l’esito elettorale per via giudiziaria o per questioni che attengono a singoli esponenti della maggioranza, oltre ad essere impraticabile, è pericolosa e in ultima analisi foriera di effetti gravi e imprevedibili.
Ma andiamo con ordine. Il caso Del Mastro, dopo un forte impatto mediatico, sembrava avere esaurito ogni possibile forza deterrente con la richiesta della Procura di archiviazione. Di fatto è stato riaperto dal Gip con la decisione di chiedere l’imputazione coatta del Sottosegretario con l’ipotesi di reato per violazione del segreto d’ufficio. Avviene raramente che il Gip si discosti dalla richiesta del PM, ma è una procedura prevista dalla legge rispetto alla quale occorre soltanto attendere che un giudice terzo stabilisca se vi è stata o meno violazione della legge penale da parte di un membro del Governo in una vicenda controversa, nella quale vi è una differente valutazione tra chi indaga per trovare le prove e chi le valuta per stabilire se sono sufficienti per andare al dibattimento. A conclusione di questo iter, auspicabilmente breve, si tireranno le conclusioni e ne conseguirà che l’assoluzione o la condanna finirà per determinare la permanenza o meno dell’indagato nel Governo. Fino a quel momento Del Mastro è innocente in base ad un principio costituzionale che è anche un cardine della civiltà giuridica occidentale.
La sig.ra Santanché, Ministro in carica, è sicuramente una donna intraprendente, ben inserita negli ambienti che contano, abituata alla vita lussuosa e alla prime pagine delle riviste di gossip, compagna di un altolocato blasonato il cui cognome per esteso riempie mezza pagina di giornale. E’ sotto tiro per affari che vengono definiti poco chiari e per contenziosi col fisco per pregresse attività imprenditoriali. Ha dichiarato davanti al Parlamento di non avere ricevuto avvisi di garanzia. Nessuno ha potuto smentirla tranne a far intendere che gli avvisi sono per strada. Tutti ricordiamo il caso, ben più grave, dell’invito a comparire di Berlusconi, avvisato a mezzo stampa mentre a Napoli presiedeva una riunione di un vertice dell’ONU sulla criminalità organizzata. Sappiamo com’è andata a finire. La vicenda Santanché è molto diversa sotto tutti gli aspetti anche per la caratura e la personalità dei protagonisti. Tuttavia è intollerabile, come lo fu allora, che possano avvenire episodi del genere, sempre e nei confronti di chiunque. Anche chi non avesse voglia di spendere una sola parola in difesa del Ministro, in casi simili dovrebbe ribadire il principio che gli istituti a tutela di chi è sottoposto a indagini debbono essere riservati e non strumentalizzati. Resta l’impressione, del tutto personale, che la scelta fatta al momento della formazione del Governo non sia stata delle migliori e che la prescelta faccia di tutto per attirarsi antipatie e critiche. Ma questa è cosa diversa.
Il caso La Russa è il più delicato. Esso coinvolge direttamente la seconda carica dello Stato, Presidente del Senato, ex Ministro, parlamentare di lungo corso, nostalgico del regime per sua espressa dichiarazione. Il Presidente La Russa è nato nel 1947 e pertanto non ha conosciuto direttamente il regime. Ne ha conosciuto gli effetti e le rovine che ha lasciato dopo la sua caduta. E’ stato allevato in una famiglia siciliana, figlio di un alto gerarca che fu pure esponente parlamentare dei post fascisti. Nella sua formazione questa provenienza ha lasciato un segno indelebile che riemerge periodicamente con “scivoloni” veramente sconcertanti se provenienti dalla seconda carica dello Stato. La vicenda attuale tuttavia è diversa. Intanto riguarda uno dei figli appena diciannovenne per un’ipotesi di reato estremamente grave. Già questo dovrebbe indurre tutti alla massima cautela e a comprendere i sentimenti di un padre, per di più Presidente del Senato, che viene a sapere una cosa del genere i cui sviluppi potrebbero essere drammatici. I più anziani ricorderanno la vicenda Cossiga- Donat-Cattin nella quale il Presidente Cossiga, allora Ministro dell’Interno, avvisò il suo amico e compagno di partito del fatto che il figlio di questi era ricercato come affiliato alle Brigate Rosse. Il caso ebbe un grande clamore ma nessun effetto sulla carriera politica di Cossiga né su quella di Donat-Cattin. Prevalse, i tempi erano diversi, la considerazione che il rapporto padre/figlio fosse più pregnante e in qualche modo giustificasse un atto in sé extra ordinem, per il quale tuttavia nessuno andò oltre la “normale” polemica politica. L’elezione di La Russa all’alta carica che ricopre è stato un azzardo per tanti aspetti. Sicuramente non per la vicenda molto dolorosa che riguarda il figlio. Se ognuno riflettesse un solo secondo e si chiedesse quale sarebbe il suo atteggiamento se scoprisse il figlio a letto con una ragazza che non conosce, forse avrebbe un comportamento diverso e meno feroce. La Russa è esattamente l’opposto della personalità politica che immagino come seconda carica dello Stato, ma in questa vicenda è vittima e va giudicato come tale. La legge della giungla deve essere rifiutata in un consesso civile.
Chi non condivide la politica del Governo in carica deve elaborare proposte e sottoporle ai cittadini elettori sostenendole in Parlamento e nelle piazze e non cercare “aiutini” che minano le basi della Democrazia.
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