LA RIFORMA COSTITUZIONALE, FORSE PROSSIMA VENTURA
di Giuseppe Gullo
La riforma costituzionale del sistema parlamentare bicamerale previsto dalla nostra Carta in vigore dal 1948 è materia incandescente che ha bruciato molti governi, da ultimo quello presieduto da Matteo Renzi. La discussione sull’argomento va avanti tra periodi di calma ed improvvise vampate e una sostanziale e dannosa inconcludenza che sicuramente non giova all’efficienza delle Istituzioni. Il tema ha adesso ripreso vigore e infiamma il dibattito politico dopo la decisione della Presidente del Consiglio di convocare “un tavolo” con tutte le forze presenti in Parlamento per un esame preliminare delle varie proposte in campo.
La destra al Governo, con qualche distinguo tattico, nel suo programma elettorale ha proposto l’adozione del sistema presidenziale che prevede l’elezione diretta del Capo dello Stato che diventa Primo Ministro. Le altre forze politiche sono in parte favorevoli, disponibile a discutere il terzo polo – o meglio i due leaders con diversi accenti, essendo difficile individuarvi una forza omogenea dopo i recenti e aspri dissidi – mentre il PD, dopo avere per anni fatto propria l’ipotesi presidenzialista, è oggi attestato sul premierato parlamentare, cioè per il rafforzamento dei poteri del Presidente del Consiglio e l’introduzione della sfiducia costruttiva, oltre al superamento del bicameralismo perfetto. Posizioni analoghe vengono espresse dal Movimento 5stelle. Nessuno dei due partiti approfondisce le proposte, né considera il fatto che la fine del bicameralismo perfetto è stata bocciata dal voto sul referendum del 2016 che segnò la fine del Governo Renzi.
Il dato di partenza è condiviso quasi da tutti. Il sistema disegnato dalla Costituzione non ha assicurato stabilità e rapidità nelle decisioni e ha mostrato, soprattutto nelle ultime legislature, l’inadeguatezza rispetto a una società del tutto diversa da quella del primo dopoguerra. Il succedersi di 68 Governi in 75 anni di Repubblica ne è prova certa e incontestabile sebbene secondo alcuni politologi i 40 anni di egemonia della DC alla guida del Paese, pur nel variare delle personalità che si succedevano alla guida dell’esecutivo, hanno segnato un periodo politicamente omogeneo. Il problema tuttavia è reale ed emerge in modo ancora più evidente se paragonato a quanto avvenuto in Francia e Germania nello stesso periodo.
Da questo punto di vista la Carta non può essere considerata intangibile se non nei principi fondamentali come d’altronde ha dimostrato l’esperienza di altri importanti Paesi democratici e in primo luogo la Francia. Il nostro Paese ha modificato in alcune parti il proprio originario impianto costituzionale. L’ha fatto in modo disorganico e talvolta, come nel caso del titolo V, peggiorativo. Il ricorso che è stato fatto in modo ripetuto alle Commissioni Bicamerali per giungere alla formulazione di una proposta condivisa è stato fallimentare anche quando sembrava che l’accordo fosse stato raggiunto. E’ quanto avvenne col famoso patto della crostata in casa Letta, zio della bicamerale presieduta da D’Alema, che svanì, si disse, per l’opposizione di Berlusconi che non ottenne la contropartita alla quale aspirava per la Giustizia. Ciò che è certo è che un’eventuale ulteriore Bicamerale sarebbe solo il modo di insabbiare ogni serio tentativo di realizzare qualunque riforma.
L’obiezione fondamentale del fronte contrario al presidenzialismo è il pericolo di una deriva autoritaria che potrebbe correre il Paese con l’uomo solo al comando, tentato di assumere poteri straordinari a danno delle libertà garantite dalla Costituzione. Certo, scontiamo ancora gli effetti del ricordo del ventennio fascista e il timore che il decisionismo tipico dei regimi autoritari finisca per affascinare il popolo; tuttavia il sentimento democratico è molto radicato, la collocazione all’interno dell’UE e le alleanze internazionali dovrebbero essere garanzie tranquillizzanti rispetto a un timore comprensibile, anche se non mancano esempi di democrazie parlamentari che hanno mostrato una tendenza involutiva verso una sorta di “demokratura”, come in Ungheria, Polonia e Turchia.
Intanto, in attesa che il fumo che avvolge il dibattito si diradi e lasci vedere in modo chiaro le reali proposte in campo, si potrebbe mettere mano alla modifica della legge elettorale che può essere fatta con legge ordinaria. Una nuova legge elettorale proporzionale sarebbe un buon viatico per una saggia ed equilibrata riforma costituzionale che garantisca il pluralismo politico del Paese. Quella in vigore è pessima ed è sicuramente una delle cause del crollo dell’affluenza degli elettori alle urne, avendo creato una cesura tra elettori ed eletti, e confermando l’idea di una separatezza della politica dal popolo e di una casta che si autotutela scegliendo la cooptazione a danno della competizione e della scelta della qualità e del merito.
Chi va a votare deve avere la possibilità di scegliere chi ritiene che possa rappresentarlo, non solo come Partito ma anche come persona. Questo potrebbe essere fatto subito tenendo conto delle esperienze passate e dei disastri causati da porcellum, rosatellum et similia. Il vecchio e sperimentato proporzionale con preferenza resta probabilmente la soluzione più semplice e più adeguata.
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