LE SCADENZE DEL PIANETA GIUSTIZIA

LE SCADENZE DEL PIANETA GIUSTIZIA

di Giuseppe Gullo

Con la piena ripresa dell’attività politica, importanti scadenze attendono  il mondo della Giustizia. La prima, tra pochi giorni, è l’elezione da parte del Parlamento in seduta comune dei dieci membri laici del Consiglio Superiore della Magistratura tra i quali dovrà essere scelto il vice Presidente, che di fatto presiederà l’organo di autogoverno dei giudici dato che il Presidente della Repubblica, che lo presiede per legge, sarà presente in rare occasioni.

I risultati elettorali consentiranno alla maggioranza di centro-destra di eleggere sei o sette componenti e potere quindi essere determinante nella composizione della maggioranza che sceglierà il vice Presidente, sebbene il profilo professionale e politico del designato avrà certamente un ruolo non secondario. Il nuovo CSM raccoglierà l’eredità drammatica e inquietante del precedente che ha visto ben sei componenti eletti dimissionari perché coinvolti a vario titolo nello scandalo Palamara, e uno dei membri di diritto, il Procuratore Generale della Cassazione, lasciare anzi tempo l’ordine giudiziario ed il CSM per lo stesso motivo.

Sapremo presto quali saranno le scelte che farà il Parlamento e chi sarà il nuovo vice Presidente che insieme agli altri eletti avrà davanti problemi enormi accentuati dalla aggressività dell’ANM nei confronti del Guardasigilli e delle iniziative che questi dichiara di volere assumere. L’ultima in ordine di tempo riguarda la contrarietà alla riformulazione del reati di abuso d’ufficio che nel  testo vigente è generico e lascia all’inquirente un’ampia discrezionalità nel promuovere l’indagine costituendo una vera e propria trappola per il pubblico amministratore. L’Associazione dei magistrati ne invoca il mantenimento utilizzando l’occasione per ribadire l’intangibilità delle intercettazioni come essenziale strumento a disposizione delle Procure. Ciò, nonostante tutte le forze politiche e lo stesso Ministro abbiano ribadito che è necessario evitare l’abuso del ricorso incontrollato alle intercettazioni e l’uso distorto e strumentale che spesso ne viene fatto  con la pubblicazione di fatti che non hanno rilievo penale .

Un altro argomento è oggetto di animato dibattito. Riguarda l’entrata in vigore della c.d. riforma Cartabia che ha introdotto la querela come requisito di procedibilità per un certo numero di reati così detti “minori”. La ratio delle legge è dichiaratamente quella di limitare l’intervento di giudice penale per reati per i quali la pena edittale non sia superiore a due anni e che vengono elencati nel provvedimento la cui entrata in vigore è stata differita rispetto al termine previsto del 30 ottobre.  L’obiettivo è quello di diminuire il carico di lavoro delle Procure e di limitare l’avvio delle indagini ai soli fatti per i quali la parte offesa ha chiesto di procedere. Assistiamo al grido d’allarme di chi sostiene che gli uffici delle Procure non sono in grado di dare avviso alle parti offese e di chi lamenta solo adesso l’inopportunità di un provvedimento che include reati come il furto, la violazione di domicilio e la violenza privata.

E’ il solito al lupo al lupo! di chi vuole chiudere gli occhi davanti alla realtà drammatica dello stato della Giustizia penale e alle richieste cogenti di riduzione del 25% del tempi di durata dei processi che viene dalle Istituzioni comunitarie come una delle condizioni per l’erogazione dei fondi del PNRR.

Se si intende procedere con scelte che tendono realmente a diminuire il numero dei processi pendenti perseguendo nello stesso tempo un temperamento del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, è questa la strada da percorrere. Qual è la realtà? A Napoli, i dati sono del Ministero, i tempi medi di un giudizio di appello sono di cinque anni e il 50% dei reati viene dichiarato prescritto. La domanda di giustizia è sostanzialmente disattesa totalmente. Né può assolutamente valere l’idea di chi chiede di abrogare la prescrizione o di protrarne i tempi oltre qualunque ragionevole termine. Non è possibile in un Paese civile che un cittadino debba attendere molti anni prima di avere una sentenza che si pronunci su fatti che gli sono stati addebitati e di cui si porta addosso le conseguenze devastanti per sé e la propria famiglia. Se l’efficienza della Giustizia è il parametro della civiltà di un popolo, siamo messi davvero male!

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