LA GIUSTIZIA TRA SUPERFICIALITÀ E RIFORMA
di Giuseppe Gullo
Siamo abituati da molti anni a considerare il mondo della Giustizia come un pozzo di San Patrizio dal quale vengono fuori sorprese inimmaginabili. Due fatti del tutto diversi, ma parimenti clamorosi, hanno colpito l’attenzione degli osservatori.
La Corte d’Assise d’Appello di Messina ha riformato, annullandola, la sentenza di primo grado che aveva condannato a 22 anni di reclusione per omicidio e lesioni gravissime un sieropositivo affetto da Aids che aveva contagiato la convivente tenendola all’oscuro delle sue condizioni di salute e causandone la morte, e un’altra donna che aveva riportato danni rilevanti alla salute. Il Giudice d’appello ha accertato che la giuria popolare era costituita da due componenti di età maggiore di 65 anni in violazione della legge che prescrive un’età inferiore. Tutto azzerato a distanza di oltre cinque anni dai fatti e dopo un processo di primo grado che aveva dato l’esito sopra riferito. Nessuno si era accorto di un fatto così evidente e facilmente accertabile? Eppure gli elenchi dei Giudici popolari vengono predisposti dai Comuni che fanno un primo controllo, vengono poi trasmessi al Tribunale dove il Presidente fa un secondo esame e convoca i sorteggiati che debbono accettare salvo che ci sia un legittimo impedimento. Nessuno ha verificato le date di nascita, nessuno ha controllato ? Sembra incredibile ma è la realtà. Qualcuno chiederà conto di tutto questo a chi ha colpevolmente sbagliato? Sarà avviata un’ispezione o tutto passerà sotto silenzio in attesa che il tempo annacqui o cancelli il ricordo dei fatti che destarono stupore in tutto il Paese, mentre lo strazio dei parenti delle vittime aumenterà a dismisura?
Su un versante del tutto diverso assistiamo a una feroce levata di scudi della magistratura contro le dichiarazioni del Guardasigilli che ha preannunciato importanti interventi di riforma della Giustizia. Il Presidente dell’ANM, per molti anni sostituto della procura a Messina prima di ricoprire incarichi di rilievo al Ministero, in numerose interviste ha lanciato preoccupate grida di allarme paventando provvedimenti che intaccherebbero l’autonomia dei giudici e un loro “asservimento” al potere esecutivo.
Volendo commentare, occorre tenere conto della storia e dello status degli interlocutori.
Da un lato vi è un magistrato che ha percorso la sua carriera quarantennale nella magistratura inquirente fino a raggiungere le funzioni di Procuratore aggiunto di Venezia e titolare d’importanti indagini definiti con la condanna degli imputati. Un magistrato di lungo corso e di grande esperienza che ha assunto da poche settimane il prestigioso e incandescente incarico di Ministro di Grazia e Giustizia.
Dall’altro il sindacato dei magistrati al quale aderisce la quasi totalità degli appartenenti all’ordine giudiziario, che negli ultimi anni è stato travolto da una serie continua di scandali che ne hanno minato la credibilità e che cerca disperatamente di riconquistare davanti all’opinione pubblica un’immagine di trasparenza e di imparzialità che è stata gravemente oscurata da lottizzazioni, lotte intestine, scontri tra procure e tra singoli magistrati, minacce più o meno velate e processi che vedono ex uomini simbolo nei panni di imputati. Già questa osservazione lascia spazio alla riflessione.
Nordio parla con cognizione di causa, non per sentito dire ma per avere vissuto direttamente quell’esperienza. Sa che solo la separazione delle carriere e la creazione di un ruolo separato della pubblica accusa garantisce la terzietà di chi giudica; sa che l’obbligatorietà dell’azione penale non esiste già ora, essendo affidata alla mera discrezionalità del PM, venendo talvolta utilizzata in relazione alla notorietà dell’indagato e al clamore che il caso può suscitare; sa che l’abuso d’ufficio, nella sua attuale formulazione, è una spada di Damocle sulla testa degli amministratori che preferiscono non fare piuttosto che rischiare facendo; sa che le carceri sono luoghi nei quali la funzione rieducativa della pena non esiste, essendo invece meramente afflittiva; sa che i dirigenti del Ministero non dovrebbero essere magistrati, giacché questo loro status, anche senza volerlo, ne condiziona in qualche modo l’operato; conosce quindi i meccanismi nella loro complessità e ha il coraggio di dirlo chiaramente. Se dovesse essere in grado di fare anche solo la metà di ciò che ha detto di voler fare passerebbe alla Storia del nostro Paese come uno tra i migliori Guardasigilli del dopoguerra.
Il Presidente dell’ANM tenta invece di difendere quello che è stato definito giustamente il Governo dei giudici, la c. d. “giuridicizzazione” della società, che è poi la condizione abnorme nella quale viviamo oramai da molti anni, più di trenta, di sostanziale soggezione al potere giudiziario che ha invaso indebitamente il terreno riservato dalla Costituzione al Parlamento e al Governo, creando quel potere senza effettivo controllo e senza reale responsabilità che è fonte di tanta parte della debolezza delle nostra Istituzioni.