I PRIMI TEMPORALI
di Giuseppe Gullo
Qualcuno pensava seriamente che l’ostentata coesione dei partiti di destra fosse vera? Se c’era qualcuno è stato smentito alla prima importante occasione, l’elezione del Presidente del Senato, seconda carica dello Stato. Partiamo dalle certezze. Il quorum era di 104, compresi ovviamente i Senatori a vita, e la destra contava su 115 eletti, di cui 18 di Forza Italia, determinante per l’elezione. A causa del mancato accordo sulla composizione del futuro Governo, il gruppo di FI ha dichiarato di non votare il candidato proposto dallo schieramento di cui fa parte. A questa defezione vanno aggiunti i due voti presi dal sen. Calderoli che con ogni probabilità provengono dal suo partito, la Lega. A questo punto è scattata l’operazione soccorso nero che ha consentito al senatore La Russa di ricoprire la seconda carica dello Stato con 116 voti e cioè 16/17 in più rispetto a quelli di cui poteva disporre. Ovviamente non sapremo mai la provenienza di quei voti, com’è avvenuto in altre importanti occasioni a partire dalla memorabile carica dei 101 che impallinò la candidatura Prodi al Quirinale.
Il punto importante di quanto è accaduto non è affatto questo, che rappresenta soltanto la replica di film visti molte volte. Vecchie volpi che frequentano le aule parlamentari da molti lustri sanno bene che occorre sempre avere un buon paracadute quando è necessario lanciarsi nel vuoto senza rete di protezione in una votazione a scrutinio segreto. Il fatto clamoroso e che la coalizione che ha vinto le elezioni si è sfaldata subito alla prima votazione importante, ed è inevitabile che questo comporti rilevanti conseguenze, i cui primi effetti, per altro, non si sono fatti attendere.
Nell’immediato, avrà un peso nella formazione del Governo. La posizione rigida e volutamente teatrale assunta da Berlusconi, riportata dalla stampa di mezzo mondo, lo mette nella condizione o di mantenere il punto e tirarsi fuori dalla maggioranza e dal governo, o di trovare un accordo alle condizioni dettate dalla premier rinviando a tempi migliori improbabili rivincite. La prima ipotesi è subito svanita, com’era prevedibile, per molte ragioni. FI, tra tutti i partiti presenti in Parlamento, e sicuramente quello più dipendente dalla figura del suo leader il quale, nonostante tutto, ha dimostrato di potere contare sul 9% di elettori fedeli e affezionati. Siamo lontanissimi dai fasti e dalle percentuali degli anni 90/00, ma la tenuta dimostra che l’usura del tempo e dell’immagine si è fermata almeno fino a quando l’ottantaseienne cavaliere avrà energia per interloquire. L’anagrafe tuttavia è un dato ineliminabile e il tempo e un fattore decisivo per cercare di ottenere alcuni risultati.
Il secondo motivo, complementare al primo, è che il cavaliere sa di non avere un delfino. Non ho mai capito se questo sia dipeso da una sequela di scelte sbagliate o dalla volontà mai dichiarata di non volerne alcuno/a. Per un certo tempo ho pensato che, dopo qualche tentativo non riuscito, il cavaliere avrebbe incoronato la sua vera erede, già tale come imprenditrice, e cioè la figlia Marina. Le elezioni appena concluse sono state in questo senso l’ultima occasione utile per farlo magari facendola eleggere in Parlamento per “annusare” l’aria di quei luoghi. Così non è stato e non vedo chi possa avere le necessarie qualità per aspirare a questo ruolo. Ciò rafforza la necessità di FI di stare al Governo in quanto solo questa collocazione potrà essere il necessario collante man mano che la presenza del cavaliere si diraderà.
Un terzo motivo consiste nel non facilitare il compito della Meloni. Il 25 Settembre FdI non solo ha vinto le elezioni ma è riuscita a ridimensionare la forza degli alleati, della Lega soprattutto, di modo che la somma dei voti dei due partiti alleati raggiunge solo i 2/3 di quelli raccolti da FdI. E se avesse in mente di chiedere tra un anno, o anche prima, nuove elezioni per arrivare a percentuali più alte approfittando delle difficoltà a destra e a sinistra? In questa evenienza solo se al Governo FI potrebbe sperare di mantenere una percentuale vicina a quella attuale.
Anche sul fronte dei rapporti con la Lega il caso La Russa avrà’ conseguenze. Il Carroccio non era in condizione di fare altro, in questa circostanza, se non mostrarsi alleato serio e affidabile con la sola eccezione dei due voti andati a Calderoli, sempre che sia stata questa la provenienza. C’era pendente l’elezione del Presidente della Camera, terza carica dello Stato, che negli accordi le era stata assegnata e che non avrebbe potuto essere eletta contestualmente al Presidente del Senato per la maggioranza irraggiungibile dei due terzi prevista dal regolamento di Montecitorio. Allora, disciplina e rispetto degli accordi, ma la discussione sul Governo e aperta, così come l’aspirazione di Salvini di tornare, prima o poi, al Viminale.
La Lega ha perso metà dei voti ed è stata surclassata da FdI nelle regioni nelle quali è nata e dove era stata per decenni il riferimento di importanti realtà produttive. Non può vivere all’ombra della nuova premier se non rischiando di tornare al 4% nel quale la prese Salvini nel 2013. Adotterà necessariamente una tattica di “smarcamento” continuo, al quale seguirà una fase di allineamento momentaneo alla ricerca spasmodica del goal non dell’assist che manda in goal il centravanti che assumerebbe tutto il merito della vittoria. Sul fronte interno il vulcano leghista rumoreggia. Vedremo nei prossimi mesi se vi sarà una vera eruzione o solo fumo che si diraderà senza conseguenze.
Intanto i problemi incalzano e tra pochi giorni il Governo non potrà più utilizzare il grande prestigio internazionale dell’attuale Presidente del Consiglio negli organismi comunitari e internazionali. Da quel momento la navigazione procederà a vista e le vedette dovranno essere vigili e attente.