L’ERGASTOLO OSTATIVO, E NON SOLO!
di Giuseppe Gullo
L’attuale Presidente della Consulta è stato un esponente di primo piano della classe politica della c.d. prima Repubblica, tra i pochi sopravvissuti alla guerra al napalm scatenata dai giudici contro i partiti di Governo di quel periodo. Accademico, raffinato giurista, laico con buoni rapporti oltre Tevere, negli ultimi quarant’anni ha ricoperto incarichi fondamentali nella mappa del vero potere, esercitati sempre con saggezza e cautela tali da consentirgli di non essere sfiorato dalle inchieste giudiziarie pur essendo stato a lungo il principale collaboratore al Governo di Bettino Craxi che fu, all’inizio, il suo mentore e che lo volle parlamentare e suo sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.
Da Presidente della Corte Costituzionale, ormai alla fine della sua brillante carriera politica ratione aetatis, è ancora protagonista autorevole della scena istituzionale. La quinta carica dello Stato si caratterizza quasi sempre per l’assoluta discrezione di chi l’ha ricoperta, con qualche eccezione. Amato rappresenta l’eccezione e d’altronde è un unicum in questo ruolo mai prima d’ora ricoperto da un ex Presidente del Consiglio, ex Ministro del Tesoro e membro del Governo per un decennio.Vi sono stati altri componenti della Consulta che sono stati chiamati nel Governo prima o dopo il mandato svolto alla Corte ma nessuno con il livello di responsabilità di Amato e con un curriculum governativo così lungo e vario, sempre ai massimi livelli.
Le decisioni della Corte presieduta da un personaggio di tale lignaggio, su questioni particolarmente delicate, assumono una valenza politica inconsueta. Così è stato per i referendum e così è per la proroga concessa al Parlamento per l’ergastolo ostativo. Quest’ultimo argomento investe direttamente una questione di civiltà giuridica quale quella della diversa disciplina del carcere a vita a seconda del fatto che il condannato abbia o meno collaborato con gli inquirenti, e riguarda necessariamente anche il tema delicato e spinoso della realtà carceraria.
È un tema impopolare questo, rischioso per le possibili interferenze con una parte consistente dell’opinione pubblica e considerato, in sostanza, abbastanza secondario. Così non è. Le statistiche dicono che solo il 19% di coloro che scontano pene fuori dal carcere reiterano la condotta criminale rispetto al 68% di quelli che restano in carcere. È un dato di enorme rilievo che potrebbe ancora diminuire se il ricorso alla pena alternativa fosse immediato. Vi è un altro aspetto importante, e cioè la possibilità di abbattere il sovraffollamento delle carceri che è causa di enormi disagi, sopraffazioni, promiscuità e abusi. La detenzione in carcere andrebbe ridotta ai casi più gravi e ai delitti che creano maggiore allarme sociale e andrebbe limitata drasticamente nella fase delle indagini introducendo rigidi parametri applicativi, derogabili soltanto in casi di comprovata necessità processuale e di vera salvaguardia dell’esito delle indagini.
In linea di principio, la tesi di chi sostiene la necessità di ridurre all’essenziale il carcere ha fondamento e serie motivazioni. La prima e fondamentale è la piena attuazione dell’art. 27 della Costituzione che assegna alla pena una funzione rieducativa e di inserimento dell’ex detenuto nella società. La Consulta ha dimostrato una particolare attenzione verso il tema della funzione del carcere attraverso importanti iniziative culminate in una serie di visite a istituti di pena e incontri con i detenuti.
Mai più un carcere cimitero dei vivi! È stato lo spirito dei costituenti. Ma non è così, la realtà è del tutto diversa e in forte contrasto con la Carta. Dobbiamo liberarci tutti da paure e preoccupazioni sicuramente fondate ma frutto di un’idea del tutto sbagliata del carcere come luogo di punizione. La privazione della libertà personale è già di per sé un’enorme punizione che occorre in qualche modo finalizzare alla rieducazione. Non aiutano in questo senso le posizione di magistrati e di persone autorevoli che invitano a non seguire le indicazioni e i suggerimenti di coloro sono stati condannati e che, dopo avere scontato la pena, riprendono la loro attività anche in campo politico manifestando da uomini liberi le loro idee e le loro preferenze. E’ un loro diritto che dovrebbe essere rispettato e come tale considerato.
Il carcere è un luogo infernale nel quale ogni giorno vengono violati e mortificati i diritti fondamentali del cittadino come essere umano.
In questo contesto l’ergastolo ostativo, a mio giudizio, è un’aberrazione e una stortura giuridica ingiustificabile contraria alla Costituzione, come riconosciuto dalla Corte.
Il Parlamento avrebbe dovuto legiferare in materia nel termine assegnato dalla Consulta e non lo ha fatto. La Corte, di fronte a tale inadempienza, ha prorogato nuovamente il termine al mese di novembre concedendo ulteriori sei mesi. La motivazione contenuta nell’ordinanza pubblicata in questi giorni sulla Gazzetta Ufficiale è stata quella di venire incontro al Parlamento e di agevolarne l’attività in nome del rispetto e della collaborazione tra organi costituzionali. Considerazioni ampiamente condivisibili nella speranza che possa venir fuori una buona legge che tuteli le persone e non discrimini in base al fatto che il detenuto abbia collaborato o meno con gli inquirenti.
I diritti fondamentali delle persone non possono e non debbono essere oggetto di mercanteggiamento.E’ stato giustamente rilevato che nelle more della nuova disciplina che dovrà essere approvata dal Parlamento, centinaia di persone, 1200 secondo le statistiche del Ministero, continuano a subire il regime carcerario talvolta nelle sue forme più severe pur potendo, in linea teorica, beneficiare delle disposizioni previste dalle leggi vigenti per tutti gli altri detenuti.
E’ accettabile tutto questo? Io credo di no e penso che vi sia la concreta possibilità che il Parlamento non sia in condizione di legiferare nel termine assegnato. Siamo già a giugno inoltrato senza che sia stato fatto nulla, l’estate e le ferie incombono in una situazione politica tesa e sfilacciata, nella fase finale della legislatura di un Parlamento percorso dalla sindrome della certezza dei due terzi dei suoi componenti di non sedere negli scranni occupati per cinque anni con relative prebende e benefit. Si andrà avanti di proroga in proroga sulla pelle di chi ogni giorno in carcere patisce la più grave delle punizioni: la privazione della libertà personale?
A novembre il Presidente Amato non farà più parte della Consulta e sarà compito di un altro Presidente e di una Corte in parte rinnovata prendere una decisione nel caso in cui, com’è probabile, le Camere non abbiano varato una nuova disciplina.
Il Presidente Amato, fedele al suo personaggio, si congederà in occasione del concerto per la pace che ha promosso in piena estate davanti ai vertici dello Stato, in piazza del Quirinale, nella quale l’orchestra dell’Opera di Roma suonerà la cantata del maestro Piovani “Il sangue e la parola”, ispirata ad Eschilo e alla Costituzione Italiana, con l’auspicio che per quella data in Ucraina la parola abbia prevalso sul sangue.