Le malattie della giustizia penale – interferenze e dimenticanze
di Peppino Gullo
Mentre viene comunicata con clamore la mini riforma della Giustizia che comprende, a quanto si dice, la modifica della composizione del sistema elettorale del CSM e il divieto per i Magistrati che partecipino alle elezioni o rivestano incarichi pubblici di ritornare ad esercitare funzioni giurisdizionali, vi sono due notizie importanti che vengono pubblicate sulla stampa, degne di adeguata sottolineatura.
Non è che la riformetta non meriti attenzione, ma è opportuno attendere la lettura dell’articolato e seguire l’iter parlamentare alla fine del quale potremmo trovare esiti diversi da quelli annunciati.
Le due notizie alle quali mi riferisco sono la dichiarazione resa del Procuratore Generale di Milano davanti al CSM che riferisce che il Procuratore capo Greco, in occasione del processo d’Appello di uno stralcio dell’inchiesta Eni-Nigeria, chiese che non fosse il sostituto Gravina a rappresentare l’accusa in quanto ritenuta poco vicina alle posizioni dell’aggiunto De Pasquale, dominus del fascicolo. Il Procuratore Generale non aderì alla richiesta di Greco e confermò nell’incarico il sostituto già designato. Il Processo, si concluse con l’assoluzione degli imputati su conforme richiesta dell’accusa. Il fatto di per sé grave, in quanto prova l’indebita ingerenza di un Ufficio sulle decisioni di un altro, per di più sovraordinato, è l’ennesima conferma dei comportamenti “anomali” della Procura milanese per difendere a tutti i costi la linea della colpevolezza dell’ENI e dei suoi amministratori e dell’esistenza della maxi tangente.
L’altra notizia è il contenuto dell’intervista rilasciata da Gherardo Colombo al settimanale Oggi. Il trentennale dell’inchiesta Mani Pulite è stato ricordato con toni diversi dal passato. Le vicende sconcertanti di questi mesi che hanno visto protagonista il dr. Davigo, il dottor Sottile dell’inchiesta, e la constatazione inoppugnabile delle “forzature” che il pool ha fatto alla legge insieme alla presa d’atto di scelte mirate a colpire alcuni e salvare altri, hanno indotto i commentatori alla cautela. Non è mancata qualche voce osannante ma è stata piuttosto isolata.
Colombo tra i componenti del pool è sempre stato il più intellettuale, il meno disponibile al clamore e ai colpi di scena, il più consapevole del ruolo e dell’importanza della politica. Lasciata la toga, il suo impegno pubblico ha avuto una forte connotazione sociale anche quando ha ricoperto posti di responsabilità su designazione partitica come nel CdA Rai.
Nell’intervista afferma che l’inchiesta portò alla luce migliaia di reati e fece emergere la distinzione tra corruzione e finanziamento illecito dei Partiti. Omette di precisare che un gran numero di indagati fu assolto e che l’uso violento e contrario alla legge della carcerazione preventiva, con il sistema chiarito da uno dei GIP in servizio all’epoca, causò molti morti. Si dichiara colpito e dispiaciuto per questi eventi drammatici ma in realtà non fece nulla per cercare di arginare l’ondata giustizialista che faceva di tutta l’erba un fascio stroncando, con l’onorabilità di tante persone, le loro famiglie, le carriere e la vita stessa.
L’osservazione più interessante, a mio avviso, Colombo la fa quando gli viene chiesto a che epoca fa risalire la fine di Mani pulite. L’ex PM sostiene che tutto si concluse, compreso il consenso intorno all’indagine, allorché emerse che il livello della corruzione era molto più basso e diffuso. Cita l’infermiere che informa di un decesso l’impresa di pompe funebri per 200 mila lire, il vigile che omette di fare i controlli in bottega e fa la spesa gratis etc. Cose di tutti i giorni, di modesto valore, ritenute pressoché normali.
Nel momento in cui l’indagine si è estesa e ha riguardato livelli molto più bassi, si è riscontrato lo stesso fenomeno, naturalmente rapportato alle funzioni svolte. Qual è stata la risposta delle Istituzioni? Colombo afferma che è stata ostile a chi indaga con la depenalizzazione di alcuni reati, la riduzione dei tempi della prescrizione e l’aumento delle garanzie per l’indagato.
La risposta merita un’attenta riflessione. Credo che L’ex magistrato rappresenti la realtà sociale in modo distorto. Il punto decisivo è quello di stabilire se i comportamenti illeciti sono la regola o se, invece, come credo, la gran parte di coloro che svolgono il loro lavoro lo fa con serietà, onestà e dedizione. Quella indicata è l’eccezione non la regola. Se si accettasse l’idea opposta, la conclusione dovrebbe essere che la società è marcia e che solo la casta dei magistrati non lo sarebbe.
Nell’ultimo anno fatti sotto gli occhi di tutti hanno dimostrato che, forse, è vero il contrario e che la bonifica deve partire proprio da lì utilizzando il machete, se necessario, e non pannicelli caldi. La realtà è che la corporazione dei magistrati ha superato di molto i confini che la legge impone alla funzione giurisdizionale cercando i reati e prendendo le mosse dalla teoria aberrante che intanto si colpisce duro in attesa che venga resa una confessione che in realtà è estorta a chi si trova in una condizione di disperazione fisica e psichica tale che sarebbe disposto a firmare di avere fatto le peggiori atrocità pur di venir fuori dall’inferno.
Qualcuno crede che Gardini, Cagliari, Moroni e tutti gli altri che sono stati vittime della violenza dei giudici fossero pazzi o psico labili? O che Craxi, quando dichiarò che la sua libertà corrispondeva alla sua vita, cercasse alibi alla sua scelta dell’esilio? Se qualcuno lo pensa, sbaglia. La violenza della legge è più devastante di quella fisica e se chi la esercita non ne è consapevole non sa fare il suo mestiere.
Osserva però l’ex PM, giustamente, che la risposta avrebbe dovuto darla la politica. Strano che abbia dimenticato la feroce opposizione del pool di cui faceva parte all’iniziativa del Governo Amato di depenalizzare il finanziamento ai partiti che costrinse il Governo e il Presidente della Repubblica dell’epoca, Scalfaro, ad una colpevole marcia indietro.
La politica sicuramente non è stata all’altezza della drammatica situazione che si è creata e la magistratura ha tracimato travolgendo tutto e creando un danno alla società e alle Istituzioni la cui portata sta venendo alla luce solo adesso.
L’equilibrio istituzionale è una pianta gracile che non è in grado di resistere alla piena impetuosa di acque melmose e deperisce inesorabilmente.