Cresce il divario economico e strutturale tra Nord e Sud
di Peppino Gullo
Il Bel Paese, oltre ad essere il centro mondiale delle bellezze tutelate dall’Unesco, la sede della Chiesa cattolica universale e di una burocrazia soffocante, è soprattutto costituito da un popolo di risparmiatori. In piena pandemia con alcuni settori produttivi in crisi come quello turistico alberghiero e il suo indotto, il risparmio degli Italiani è cresciuto raggiungendo la cifra da capogiro di cinque mila miliardi, primo Paese in Europa per distacco. Il PIL, dopo la completa ripresa delle attività, vola con percentuali di crescita cinesi e alcune regioni del nord hanno trend superiori a quelli delle più sviluppate regioni mitteleuropee.
Eppure i nodi strutturali della nostra economia sono lì dov’erano prima della pandemia e gli analisti più avveduti continuano a lanciare grida di allarme per tanti aspetti preoccupanti. I fenomeni di delocalizzazione sono aumentati, i vincoli rappresentati dal malfunzionamento della giustizia civile e dall’eccessiva burocrazia sono cresciuti così come l’entità del debito pubblico giunto a toccare i 2700 miliardi. Allora?
La propensione al risparmio degli Italiani da sola non spiega il fenomeno. Vi è di più. Da un lato vi è l’effetto della grande massa di denaro che è stata immessa sotto forma di aiuti, contributi a fondo perduto, finanziamenti agevolati, bonus e simili. Una parte di questo denaro è stato risparmiato e destinato a futuri consumi. L’incidenza del lavoro sommerso e in nero, interamente o parzialmente, ha dato la sua parte di contributo ad aumentare i depositi così come l’incertezza del futuro e la precarietà della situazione. Questo sebbene i depositi non diano alcuna rendita e le stesse obbligazioni offrano modesti guadagni.
Nello stesso tempo si è accentuato il divario in termini di reddito e occupazione tra centro Nord e Sud del Paese. Le Regioni centrali e settentrionali hanno indici prossimi alla piena occupazione con settori nei quali manca la manodopera qualificata. Il Sud, al contrario, vede diminuire tutti i parametri con una crescita preoccupante della disoccupazione giovanile e femminile, di quella addetta al comparto industriale e della piccola imprenditoria. Cresce il ricorso al reddito di cittadinanza talvolta con artifici che hanno rilievo penale mentre, per converso, chi può permetterselo e ne ha le qualità continua gli studi superiori fuori regione senza più tornare, nella gran parte dei casi, nei luoghi d’origine. Un circolo vizioso dal quale non si viene fuori se non rompendolo definitivamente.
Qui m’interessa rilevare questa realtà apparentemente contraddittoria di un Paese che reagisce alla grande crisi pandemica con forza e capacità insospettabili pur mantenendo i difetti che sono ormai notissimi. Se la classe politica e l’alta burocrazia, con i dovuti distinguo, fossero all’altezza del Paese saremmo, probabilmente, alla vigilia di un nuovo boom economico. Questa grande opportunità è a portata di mano se la quantità di denaro che è in arrivo migliorerà l’istruzione di tutti i gradi, adeguerà le strutture sanitarie alle nuove emergenze che diventeranno permanenti, cambierà la Giustizia e costruirà le infrastrutture indispensabili per far crescere tutta l’economia.
Speranze? Molto di più. A proposito di grandi infrastrutture, concludo con qualche riflessione sulla costruzione del Ponte sullo Stretto. L’obiezione principale mossa dai No Ponte è che la realizzazione del grande manufatto creerebbe un danno irreversibile nel magnifico scenario dello Stretto. Mi chiedo dove hanno vissuto queste persone negli ultimi 50 anni e se, ogni tanto, alzano gli occhi per guardare da Faro il territorio circostante. Se lo facessero e avessero memoria di quei luoghi negli anni 50 e 60 del novecento non potrebbero fare a meno di concludere che il grande scempio irreversibile è già avvenuto e, in piccola parte, è tuttora in corso. Tutte le colline tra la Panoramica e la litoranea sono state inondate di cemento con la costruzione di villone, ville, villette, complessi, residence, alberghi, B&B, edifici di quattro o cinque piani, di cui tre bui e due con vista mare. Durante l’estate per raggiungere la città distante circa 10 Km, se va bene, dalla riviera nord è necessaria un’ora, tranne a non avventurarsi su uno scooter a rischio vita. In Calabria la situazione è analoga se non peggiore e se da Ganzirri si guarda la costa calabra, la ferita del grande viadotto dell’autostrada colpisce lo sguardo come un lampo che attraversa il cielo e predice l’imminente pioggia.
È possibile aumentare lo scempio che è stato fatto? Non credo. Meglio puntare su quanto può arrivare da un investimento di molti miliardi, dalla fluidificazione dei trasporti e, perché no, da tre milioni di persone che ogni anno hanno la curiosità di vedere di persona il grande ponte che unisce la Sicilia al Continente.